Anche in regime di part time verticale il dipendente ha diritto ad usufruire dei tre giorni previsti.

Redazione 15/03/18
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Riceviamo e pubblichiamo la nota ADI: Commento a Cassazione n. 4069 del 20-02-2018 a cura del Dott. Carlo Pisaniello. L’articolo interessa moltissimi dipendenti in regime di part-time che usufruiscono della Legge 104 e dei suoi diritti.


 

Legge 104 in regime di part-time verticale

Anche in regime di part time verticale il dipendente ha diritto ad usufruire dei tre giorni previsti.

Il ricorso in esame è stato proposto da una dipendente delle Poste Italiane, la Sig.ra R.D., titolare di permessi in base alla legge 104/92, di cui all’art. 33, comma 3, chiede di poterne usufruire a pieno titolo e quindi a percepirne la relativa indennità pagata dall’INPS, anche se il suo orario di lavoro si articola dal lunedì al giovedì dalle ore 08.30 alle ore 14.30 .

La lavoratrice aveva lamentato, dinnanzi alla Corte di Trento, che il datore di lavoro aveva riproporzionato i permessi 104 di cui usufruiva da tre giorni a due, in considerazione del suo orario di lavoro che configura un part-time verticale, sebbene con precedente sentenza n. 142/2007 passata in giudicato, il Tribunale di Trento le avesse riconosciuto il diritto di usufruire dei permessi a pieno titolo, condannando le Poste al risarcimento del danno in relazione al periodo 2001-2009.

La Corte di Appello riferisce che dal 1/1/2009 l’INPS era divenuto deputato al riconoscimento dei relativi permessi, non più poste Italiane, in base a quanto precisato in una circolare la n. 133/2000 e perciò lo stesso istituto le aveva ridotto i prelativi permessi.

Conferma inoltre che a ragione il Tribunale di prime cure in mancanza di una norma espressa, aveva riconosciuto il pieno titolo, in base al principio di non discriminazione di cui all’art. 4, lett. b) del D.Lgs. n. 61/2000, poiché l’art. in questione faceva riferimento al riproporzionamento solo con riferimento al trattamento economico del lavoratore a tempo parziale, in relazione alla retribuzione feriale, ai trattamenti economici per malattia, infortuni sul lavoro, malattia professionale e maternità e che alla lettera a), comma 2 invece, prevedeva la rimodulazione della durata del periodo di prova e di conservazione del posto di lavoro in caso malattia per il contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.

Ribadiva che la mancanza di un relativo comma che indichi esplicitamente i relativi permessi non era dirimente, visto che tale norma era costituita da due parti, di cui la prima enunciava il principio di equiparazione dei diritti e la seconda conteneva un elenco non tassativo.

In riferimento poi all’appello incidentale del datore di lavoro Poste S.p.A., ha rilevato che la sentenza del tribunale di Trento del 2007, riguardando il medesimo rapporto ora in esame, aveva efficacia di giudicato anche nel 2009 nei confronti di Poste S.p.A..

L’INPS ricorre in Cassazione ed eccepisce che la Corte Territoriale ha violato il combinato disposto degli artt. 33, comma 3, L. 104/92 e 4, commi 2 e 3, del D.Lgs. 61/2000, secondo cui in assenza di una espressa normativa del part-time, volta a prevedere il riproporzionamento nella fattispecie in esame, non era consentito concedere permessi in misura inferiore a tre.

Osserva inoltre che non era significativo che l’art. 4 citato non prevedesse il riproporzionamento, in quanto, utilizzando tale parametro, non poteva non rilevarsi che la norma neppure affermava che tali permessi andavano riconosciuti in caso di part time.

Poste Italiane dal canto suo, deduce vizio di motivazione, rilevando che la sentenza del Tribunale di Trento, che aveva riconosciuto i tre giorni di permesso ed era passata in giudicato, non costituiva giudicato, come erroneamente affermato dalla Corte Territoriale, tenuto conto del nuovo contesto normativo intervenuto che aveva attribuito all’INPS l’erogazione della prestazione e considerato che la circolare della stessa INPS prevedeva il riproporzionamento.

Secondo la Corte di Cassazione entrambi  i motivi di ricorso sono infondati:

  • il Collegio ritiene infatti di confermare l’interpretazione, già accolta da precedenti interpretazioni (Cass. 22925/20017), dell’art. 33 della L. 104/92 che riconosce al lavoratore dipendente, pubblico e privato, che assiste la persona con handicap grave entro il terzo grado, qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto 65 anni di età oppure siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa.

La questione che si pone nel presente giudizio quindi, è se, detti permessi, debbano essere o meno riproporzionati nella misura di due, invece che tre, nell’ipotesi in cui un genitore osservi un orario di lavoro articolato su 4 giorni lavorativi a settimana con orario dalle 8.30 alle 14.30 dal lunedì al giovedì.

L’art. 4 del D.lgs. n. 61/2000 o legge sul part time, dopo aver sancito al primo comma il principio di non discriminazione, in base al quale il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento di minor favore o meno favorevole, rispetto al lavoratore a full time, elenca nella lettera a) “diritti del lavoratore part time” in particolare, che deve beneficiare: della medesima retribuzione oraria, del medesimo periodo di prova e di ferie annuali, della medesima durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità, del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia, dei diritti sindacali, ivi compresi quelli di cui al titolo III della legge 20 maggio 1970 n. 300 e ss.mm.ii..

L’art. 4, citato alla lettera b), stabilisce che “il trattamento del lavoratore a tempo parziale sia riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa”, in particolare per quanto riguarda: l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, l’importo della retribuzione feriale, l’importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità.

Il testo del Prof. Mauro Di Fresco:

Quindi, la lettera a) individua i “diritti del lavoratore con orario part time, mentre la lettera b) esamina “i trattamenti economici” e questi ultimi possono essere riproporzionati.

Il legislatore in attuazione del principio di non discriminazione, ha inteso distinguere tra quegli istituti che hanno una connotazione patrimoniale e che si pongono in stretta correlazione con la prestazione lavorativa (rispetto ai quali è stato ammesso il riproporzionamento del trattamento del lavoratore) e gli istituti riconducibili ad un ambito di diritti a connotazione non strettamente patrimoniale, che si è inteso salvaguardare da qualsiasi riduzione connessa alla minore entità della durata della prestazione lavorativa.

In assenza di specifica disciplina, l’interpretazione deve ricercare tra le possibili opzioni offerte dal dato normativo, quella maggiormente aderente al rilievo di interessi in gioco ed alle sottese esigenze di effettività della tutela, in coerenza con le indicazioni comunitarie.

Il precedente citato da questa Corte ha messo in luce che “il permesso mensile retribuito di cui all’art. 33 , comma 3 della L. 104/92 costituisce espressione dello Stato sociale che eroga una provvidenza in forma diretta tramite facilitazioni e incentivi ai congiunti si  che fanno carico dell’assistenza di un parente disabile grave”.

Come evidenziato anche dalla Corte Cost. n. 213/2016, trattasi di uno strumento di politica sociale-assistenziale che, come quello del congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5 del D.lgs. 151 del 2001, è basato sul riconoscimento della cura alle persone con handicap grave e sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale ed intergenerazionale.

Risulta pertanto evidente che l’interesse primario, cui è preposta la norma in questione, è assicurare in via prioritaria la continuità delle cure e l’assistenza al disabile che si realizzano in ambito familiare, indipendentemente dall’età e dalla condizione dell’assistito (Corte Cost. n. 19 del 2009 e n. 158 del 2007).

Trattasi quindi di una misura destinata alla tutela della salute psico-fisica del disabile, quale diritto fondamentale di cui all’art. 32 Cost., che rientra tra i diritti inviolabili riconosciuti e garantiti dalla Repubblica all’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità (art. 2 Cost.).

Tenuto conto quindi delle finalità dell’art. 33 della L. 104/92, deve concludersi che usufruire dei permessi costituisce un diritto del lavoratore in part-time non comprimibile e da riconoscersi in misura identica a quella applicata al lavoratore a tempo pieno.

Il criterio che può ragionevolmente desumersi dalle indicazioni della norma, è quello di una distribuzione in misura paritaria degli oneri e dei sacrifici connessi all’adozione del rapporto di lavoro part time e, nello specifico, del part time verticale.

Appare per altro ragionevole distinguere tra, l’ipotesi in cui la prestazione di lavoro part time sia articolata sulla base di un orario settimanale, che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, e quella in cui comporti una prestazione per un numero di giorni inferiore, o addirittura limitata in alcuni periodi dell’anno e riconoscere, solo nel primo caso, stante l’importanza degli interessi coinvolti e l’esigenza di effettività della tutela della salute del disabile, il diritto alla integrale  fruizione dei permessi in oggetto.

La Corte pertanto i ricorsi e compensa le spese tra le parti.

Sentenza brillante per lungimiranza ed effettività della tutela della salute del soggetto affetto da disabilità. Correttamente la Suprema Corte ha messo in evidenza che, in assenza di una specifica disposizione normativa che limiti i permessi della 104 ed in virtù del fatto che la prestazione part-time della dipendente era in realtà superiore al 50% dell’orario di lavoro settimanale, per giunta spalmato su 4 giorni lavorativi, non si poteva limitare il diritto di usufruire di permessi 104 a soli due giorni adducendo come motivazione chela prestazione di lavoro era parzialmente ridotta.

La riduzione era talmente lieve da non poter pregiudicare il rapporto contrattuale sinallagmatico, anche in virtù del principio della parità di oneri e sacrifico tra datore di lavoro e dipendente, che non deve essere sbilanciato né in un senso, né nell’altro.

La Corte ha correttamente interpretato il dettato normativo Costituzionale favorendo quello che è un diritto inviolabile e fondamentale di ciascuno di noi che è il diritto alla salute.

Dott. Carlo Pisaniello

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