Assistenza infermieristica a domicilio e coinvolgimento del care giver

Redazione 17/06/18
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Questo articolo è tratto dal volume: “L’infermiere – Manuale teorico-pratico di infermieristica” di Cristina Fabbri e Marilena Montalti.
Maggiori informazioni a fine articolo.

Assistenza infermieristica a domicilio e coinvolgimento del care giver

L’assistenza domiciliare è l’insieme degli interventi al domicilio del paziente che tendono a fornire cure mediche, infermieristiche e di tipo assistenziale in forma integrata, nel rispetto dei diritti del paziente per evitare il ricovero in ospedale o in strutture di lunga degenza.

Negli ultimi 20 anni, in Italia, si è assistito ad un duplice fenomeno: da un lato l’aumento della vita media con tasso di crescita 0, che ha fatto sì che la popolazione anziana avesse una espansione che, per velocità ed intensità oltre che per la durata temporale, è stata una delle più significative al mondo, dall’altra un incremento dell’incidenza di patologie croniche con tendenza alla cronicizzazione, un tempo a prognosi infausta a breve termine, soprattutto in campo oncologico.

Questo scenario ci permette di intuire che i campi elettivi di intervento delle cure domiciliari siano la geriatria e l’oncologia, con numerose figure professionali coinvolte, quali: il medico di medicina generale, l’infermiere, l’assistente sociale, lo psicologo, le associazioni di volontariato, il medico specialista, i consulenti occasionali. I ruoli e le competenze sono diversi ed integrati, con l’inderogabile necessità di rispettare la regola della comunicazione delle informazioni, per essere efficaci nel team multidisciplinare.

Il medico di medicina generale ha nella nostra realtà italiana la particolarità di essere il responsabile della gestione della salute del paziente. L’assistenza domiciliare integrata viene collocata dall’OMS fra le cure primarie che dovrebbero rappresentare la struttura portante dei vari Sistemi Sanitari Nazionali.

Le cure primarie

Le cure primarie sono caratterizzate da:

  • una erogazione universale equa (cioè un sistema rivolto a tutta la popolazione, tenendo conto soprattutto delle fasce di popolazione deboli);
  • interventi volti a tutela della integrità fisica, psichica e sociale dei pazienti, in virtù di una concezione globale di salute;
  • servizi integrati con quelli degli altri livelli del Sistema Sanitario e con servizi in altri settori.

Attualmente viene attuata attraverso tre forme:

  • Assistenza Domiciliare Programmata, modalità assistenziale più diffusa, assicurata dal medico di medicina generale a soggetti non autosufficienti secondo criteri stabiliti dal d.P.R. 314/ 90 e dal d.P.R. 484/96;
  • Assistenza Domiciliare Integrata, assistenza assicurata dal medico di medicina generale in collaborazione con un’equipe composta da infermieri, riabilitatori, assistenti sociali, consulenti e specialisti;
  • Ospedalizzazione domiciliare, modalità assistenziale che prevede interventi diagnostici e terapeutici coordinati dalla struttura ospedaliera in collaborazione con il medico di medicina generale.

La cura nella casa del malato

Il malato desidera nella maggioranza dei casi essere curato a casa, perché la casa per lui rappresenta il luogo di sicurezza, dove sente di poter esercitare più controllo sulle proprie decisioni (e su quelle di chi lo circonda) e soprattutto perché nella casa si sono create quelle situazioni e vengono usati linguaggi che per il malato rappresentano una sorta di ritualità quotidiana, per lui confortante.

Per questo, tra gli obiettivi del piano di cura, dovrà essere considerata la necessità di programmare il piano tenendo presenti le caratteristiche della famiglia (che il malato desidera vengano mantenute nella loro integrità) e adattandolo all’ambiente nel quale si svolgerà l’intervento curativo/assistenziale.

La casa obbliga i curanti ad un ribaltamento dei ruoli, rispetto a ciò che avviene nella struttura ospedaliera, ponendo a centro della cura il malato con la sua famiglia. Questo ribaltamento è essenziale nel rapporto con il curante e il malato terminale – anche se sarebbe auspicabile in tutta la medicina – quando lo scopo ultimo della cura non può essere più la guarigione, ma ciò che il paziente desidera per la sua migliore qualità di vita.

La casa deve però essere riorganizzata per rispondere alle esigenze che emergono dall’analisi dei bisogni della persona malata e dei suoi famigliari. Sono bisogni che periodicamente si modificano fino a richiedere – negli ultimi giorni di vita – una
revisione praticamente quotidiana del piano di cura.

Ciò richiede una interpretazione attenta delle richieste del malato e della famiglia, che raramente e solo con grandi difficoltà vengono tradotte in una organizzazione efficiente del domicilio. Una giusta risposta ai bisogni del malato terminale assistito a casa, deve soddisfare il più possibile il mantenimento di un ambiente famigliare, nel quale il malato possa identificarsi sino alla fine, conservando il più possibile la propria autonomia.

Questa esigenza può essere rispettata accettando il principio che un malato a casa al termine della sua vita non abbia bisogno di una casa trasformata in ospedale, ma della casa per se stessa, così come è abituato a viverla.

 

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Il ruolo della famiglia come risorsa

La famiglia ha sempre avuto un ruolo cruciale nella nostra realtà storica, sociale e psicologica. Con l’avvento dell’era industriale e con i rinnovamenti culturali degli anni passati la famiglia come struttura socio-economica ha subito numerosi cambiamenti,
divenendo sempre più scarna, con entrambi i coniugi lavorano ed hanno al massimo uno o due figli.

In questo scenario che si orienta sempre più verso la solitudine, il piccolo nucleo
famigliare si trova a gestire il pesante carico che comporta l’assistenza al malato grave avendo come unica via di fuga il ricovero in strutture sanitarie ad alto costo sociale, accompagnato dai sensi di colpa da parte dei famigliari, senza valutare che l’ammalato viene così privato di quel fondamentale strumento terapeutico che è il conforto del proprio ambiente, con il mantenimento delle proprie abitudini.

Per la famiglia la malattia rappresenta un trauma, cioè la rottura dei normali ritmi spazio
temporali perché interrompe la cadenza della vita sociale e genera incertezza sul futuro. Ne consegue una frattura del sistema dell’esistenza che coinvolge paziente e famiglia, corpo e mente (aumento dei distrurbi psico somatici nella cerchia della parentela
dovuti ad ansia e depressione).

Il ruolo degli operatori domiciliari è rendersi conto dello stato emotivo della famiglia, individuando all’interno la persona che svolga un ruolo da supporter (care giver), cioè un leader intorno al quale costruire una sorta di impalcatura per sostenere il peso della situazione sia psicologicamente che materialmente con i restanti componenti della famiglia. Il ruolo dell’infermiere è quello di instaurare una educazione terapeutica con il care giver attraverso un processo educativo che si propone di aiutarlo ad acquisire quelle competenze per la gestione ottimale della malattia del proprio famigliare.

È un processo a tappe, che tiene conto dei vissuti della persona e che comprende un  insieme di attività organizzate di sensibilizzazione, di informazione, di apprendimento, aiuto psicologico e sociale, concernente la malattia, i trattamenti, la prevenzione delle complicanze, gli stati d’animo, l’organizzazione e le procedure ospedaliere, i componenti
di salute e quelli legati alla malattia e destinati ad aiutare la persona malata e la sua famiglia e l’ambiente che lo circonda, a comprendere i trattamenti, collaborare nell’espressione dei propri sentimenti, prendere in carico il suo stato di salute e conservare
o migliorare la qualità della vita.

Questo articolo è tratto dal seguente volume:

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