Infermieri. Nuove norme sull’orario di servizio: ancora confusione e mancata applicazione

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Alla fine del 2015 ha destato particolare clamore l’entrata in vigore della normativa sull’orario di servizio, che impone dei vincoli alla sua organizzazione e gestione ed è stata mal digerita dalle aziende ma anche dai professionisti, che si sono visti limitati nell’organizzazione dei turni confacenti alle proprie esigenze extralavorative

LE NUOVE NORME SULL’ORARIO DI SERVIZIO: ANCORA CONFUSIONE E MANCATA APPLICAZIONE

C’è da dire che il problema della regolamentazione dell’orario di servizio ha radici antiche: nel 1923, un Regio Decreto Legge del 15 Marzo, n. 692, impose un numero massimo di ore di lavoro giornaliero pari a 8, ed un numero massimo di ore settimanali pari a 48. Oltre questa norma, negli anni ’90, possiamo ricordare la Direttiva 93/104/CE del 23 Novembre 1993 (Consiglio Europeo), modificata dalla Direttiva 2000/34/CE del 22 Giugno 2000, in cui si definiscono: i periodi minimi di riposo fra un turno di lavoro e l’altro di almeno 11 ore, e 24 ore di riposo ogni 7 giorni, che si sommano alle 11 ore precedenti. Viene sottolineata la necessità di prevedere una pausa se il turno supera le 6 ore di lavoro, e la durata media di 48 ore di lavoro settimanali, compreso il lavoro straordinario.

Normativa che regola gli orari di servizio e il riposo

La direttiva del 2000 ha ulteriormente specificato alcuni aspetti: per “periodo di riposo” si intende qualunque periodo che non rientri nell’attività lavorativa; per “lavoro notturno”, un periodo di almeno 7 ore che comprenda l’intervallo fra le 24 e le  5, più altre definizioni sempre nell’ambito del lavoro e della tipologia di lavoratore, con il turno notturno che, di norma, non deve superare le 8 ore lavorative.

Importante è anche la definizione dei periodi di riferimento: per l’applicazione dell’art.5, relativo al riposo settimanale, il periodo massimo di riferimento è pari a 14 giorni, mentre il calcolo della durata massima settimanale di lavoro viene conteggiata su 4 mesi, mentre i periodi di ferie e le assenze per malattia non vengono considerati ai fini di questo calcolo.

E’ possibile definire delle deroghe a queste disposizioni a condizione che siano frutto di accordi contrattuali o sindacali per alcune categorie di lavoratori, fra cui il personale sanitario, a condizione che si adottino delle misure “di protezione” per il lavoratore stesso.

Il Decreto Legislativo 66/2003 da attuazione in Italia alle Direttive Europee citate, ma la legge finanziaria del 2008 e la legge 133/2008 (Decreto Brunetta) contenevano direttive che permettevano in qualche modo di aggirare le disposizioni europee. Tutto questo ci hanno portato alla procedura di infrazione presso la Corte di Giustizia Europea, e la successiva legge del 30  Ottobre 2014,n. 161, con l’articolo  14 rende attuativa la direttiva europea a partire dal 25  Novembre 2015.

Quali considerazioni possiamo fare alla luce di quanto precedentemente specificato?

I fatti sembrano abbastanza chiari: l’organizzazione dei turni non può più avvenire secondo il principio “dell’anticipo di fase” (pomeriggio-mattina, mattina-notte) perché non rispetterebbe il principio delle 11 ore di riposo fra un turno e l’altro, ma questo sembra l’unico parametro di riferimento veramente chiaro…  per quanto riguarda gli altri aspetti (numero massimo di ore settimanali, riposo obbligatorio, ecc.), l’inevitabile flessibilità correlata alla necessità di garantire il servizio H24 apre la porta a possibili “storture” nell’organizzazione del lavoro, che si traducono in una sostanziale mancata applicazione della norma.

Proviamo a ragionare sul riposo, previsto di norma ogni 7 giorni ma da valutare nell’arco di 14 giorni; in casi estremi, potremmo ritrovarci ad avere un riposo il lunedì, e il riposo successivo la domenica della settimana successiva, avendo di fatto un periodo ininterrotto di lavoro di ben 12 giorni! Se questa situazione ci permette di rientrare nella norma nel caso di turni di 6 ore, questo naturalmente porta a dei problemi nel caso di turni da 8 ore.

Il problema delle 11 ore di riposo si aggrava nel caso di effettuazione di turni di pronta disponibilità; se un dipendente viene chiamato in servizio, quella disponibilità si trasforma il lavoro attivo: come considerare il riposo? Si interrompe nel momento della chiamata? Il conteggio delle ore di riposo riparte da zero dopo la chiamata in reperibilità? Se volessimo garantire il rispetto assoluto della norma, la pronta disponibilità non si potrebbe effettuare senza violare la norma.

L’interpretazione che è stata data valutare il riposo interrotto dalla chiamata in pronta disponibilità è che la chiamata interrompe ma non azzera il computo delle ore di riposo: secondo questo principio, il dipendente deve aggiungere al suo riposo le ore di lavoro effettuate in regime di pronta disponibilità… ma come comportarsi nel caso in cui il giorno successivo il dipendente deve dare il cambio al turno del collega smontante? Questo sarebbe possibile solo se esiste un numero congruo di personale in turno, che possa compensare il rientro in ritardo del dipendente che ha svolto il turno in pronta disponibilità.

Diventa un grosso problema anche la pratica dello scambio del turno fra colleghi, che potrebbe creare condizioni di incompatibilità con la norma. Le domande che il personale si pone sono di vario tipo:

  • posso rifiutarmi di effettuare un turno palesemente difforme da quanto specificato nella norma?
  • Le sanzioni previste dalla Unione Europea a carico di chi sono?
  • Posso esercitare una azione legale nei confronti dell’azienda che mi fa lavorare senza rispettare la norma sugli orari di servizio?

Le corresponsabilità dei coordinatori.

Chiariamo subito che lo status di professionista sanitario ci rende corresponsabili di qualsiasi azione decidiamo di porre in essere, se non dimostriamo di aver fatto quanto possibile tali situazioni. Troppe volte i coordinatori non organizzano i turni secondo la norma per venire incontro alle “desiderate” dei loro infermieri, ma in questo caso si assumono la totale responsabilità del mancato rispetto, insieme al direttore della struttura che ha il dovere di vigilare.

Il rifiuto ad effettuare un turno difforme dalla norma non è possibile, per non essere accusati di interruzione di pubblico servizio, ma sicuramente è possibile porre in essere azioni per indurre l’azienda al rispetto della  stessa ed eventuali azioni legali per il  risarcimento del danno derivante.

Dopo un primo momento “di gloria”, la legge sembra già passata nel dimenticatoio, e nessuno sembra più interessarsi alla sua applicazione. Le cause vanno ricercate nella necessità di un deciso cambiamento del modello organizzativo, nonché nell’aumento delle risorse umane necessarie e i costi derivanti. Sicuramente i problemi da affrontare sono enormi, ma se ci fosse un impegno reale da parte di tutti gli stakeholder della sanità si potrebbe, nel tempo, raggiungere gli obiettivi che la legge si è prefissa.

Francesco Germini

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