Altro che braccialetti, Amazon mette le mani sulla Sanità!

Dario Tobruk 12/02/18
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È fresca di pochi giorni la notizia del Sole24Ore il colosso Amazon capitanato dall’imprenditore multimiliardario Jeff Bezos insieme ad altri due tycoon della finanza e dell’industria, Jamie Dimon di JP Morgan e il “Re Mida” Warren Buffet, si stanno coalizzando per creare un modello finanziario ed entrare nel grande mercato della sanità americana.

Negli USA il sistema sanitario è regolato da leggi di mercato in cui l’utente per essere curato deve disporre di assicurazioni sanitarie prima di diventare un paziente; in base al premio pagato le assicurazioni copriranno o meno le cure di cui quest’ultimo necessita.

Vuol dire che per assicurarti le cure mediche di cui hai bisogno devi pagare di tasca tua un’ingente somma prima che sopraggiunga la malattia.

Amazon e il capitalismo in sanità

Attualmente i tre multimiliardari si nascondono dietro le buone intenzioni di migliorare le condizioni dei propri dipendenti; ma quando i principali squali della finanza, delle banche e delle industrie si coalizzano su un settore così delicato (e incredibilmente redditizio) è bene fare una serie di considerazioni:

  • Jeff Bezos, con la sua Amazon ha sì rivoluzionato l’acquisto di piccoli beni rendendoli accessibili ed economici ma a discapito di migliaia di lavoratori che ogni giorno vengono trattati come schiavi nei giganteschi magazzini distribuiti in tutto il mondo. Il magnate, tra i più ricchi al mondo, non ha mai dimostrato altro che pensare a come incrementare la produttività (anche se incredibilmente disinteressato al proprio guadagno, conserva ancora la sua vecchia macchina) e raramente al miglioramento delle condizioni dei suoi lavoratori e del benessere della società nel suo complesso. Continue le notizie dei soprusi nei confronti dei lavoratori, le pause bagno negate, le corse tra i scaffali, i possibili braccialetti per monitorare il lavoro!
  • Warren Buffet e JP Morgan: Lo squalo della finanza per eccellenza il primo e il gruppo bancario responsabile della crisi che ci stiamo lasciando lentamente alle spalle. C’è altro da dire?

Perché dovrebbe importarci?

In Europa le politiche sanitarie hanno cercato sempre di resistere alle pressioni neo-liberali e ultra-capitalistiche americane; in parole povere, in Italia e in molti paesi europei la sanità tende ad essere un servizio pubblico garantito da politiche di Welfare statali che garantiscono, o cercano di farlo, un “universalismo sanitario” ovvero accessibile a tutti.

Per rendere accessibile un servizio oneroso come quello sanitario è indispensabile che il costo venga distribuito su tutta la popolazione di uno Stato attraverso tasse e ticket.

Negli USA, invece, la scuola di pensiero che dirige le politiche di ogni aspetto della vita del cittadino è profondamente diversa dalla nostra. Il cosiddetto sogno americano altro non è che la grande corsa competitiva di un sistema che crea enormi diseguaglianze sociali, un sistema in cui se hai soldi “fai la bella vita”, ma se non ne hai la povertà è esclusione sociale e mancanza di servizi basilari come quelli sanitari.

Una definizione del pensiero neoliberista all’articolo Globalizzazione dei mercati e salute di Rinaldi, Civitelli, Marceca contenuto in Manuale critico di sanità pubblica:

[…] ispirato alle teorie di Milton Friedman e di altri economisti appartenenti alla Scuola di Chicago (i cosiddetti Chicago Boys), che aveva ed ha come caposaldo teorico l’idea che i mercati siano i più efficienti allocatori di risorse, sia nella produzione che nella distribuzione della ricchezza; che le società siano costituite da individui autonomi (produttori e consumatori) motivati principalmente da considerazioni economiche e materiali; e che il welfare state, tendente a mitigare le diseguaglianze nella società, interferisca con il normale funzionamento del mercato e debba dunque, dove esiste, essere eliminato”.

Testo riportato da:


Ovvero nessun servizio pubblico se possibile; l’acqua e la sua distribuzione in base a questa scuola di pensiero, dovrebbe essere gestita da privati, probabilmente di certe dimensioni come la Nestlé per esempio. Un classico, l’intervista in cui il dirigente della multinazionale spiega come gli essere umani non abbiano diritto all’acqua, bene che in realtà dovrebbe essere commerciale e non garantito dai diritti umani. Pare che la traduzione non sia esattamente corretta ma il senso non crediamo sia travisato:

 

Cosa rischiamo?

Il rischio è che, in caso di successo economico, dal sodalizio dei tre venga partorito un modello economico che invaderà prima o poi quello europeo, fondato su politiche di welfare sociale ma indeboliti nel frattempo dalla stessa crisi che le banche hanno causato, e di cui Amazon è il colpo di grazia.

Già si vedono le prime avvisaglie: lo screditamento del sistema sanitario pubblico, le lunghe attese, i disservizi causati dai tagli dei governi, l’avanzare di proposte di sanità privata e i primi timidi tentativi di piazzare assicurazioni sanitarie private a chi possa acquistarle.

Il rischio – come scritto sull’articolo Globalizzazione dei mercati e salute di Rinaldi, Civitelli, Marceca contenuto in Manuale critico di sanità pubblica è però che tale scelta, come già accaduto in alcuni paesi dell’America Latina, produca un ulteriore aumento delle diseguaglianze nell’accesso dei servizi sanitari, producendo una sorta di ‘doppia velocità’ nell’assistenza; poiché i gruppi a medio e basso reddito, i malati cronici e gli anziani (tutti non appetibili per le assicurazioni sanitarie private) tenderebbero prevedibilmente a rimanere all’interno del sistema sanitario pubblico, a quel punto di limitate risorse economiche ed umane, e quindi di minore qualità

Cosa possiamo fare?

Denunciare l’abusivismo, i disservizi reiterati nel tempo e tutte quelle situazioni in cui direttamente o indirettamente il prestigio, il servizio e l’integrità del servizio sanitario venga messo in gioco.

Partecipare direttamente. Indignarsi e confrontarsi anche all’interno del proprio reparto o della propria Azienda sui grandi e piccoli disservizi riscontrati ogni giorno. Non farsi tentare dalla voglia di lasciarsi tutto dietro appena timbrato il cartellino, se quel giorno abbiamo riscontrato un problema e bene farlo presente a chi di dovere.

Come infermieri, nonostante i nostri quotidiani ed enormi sacrifici, dovremmo vigilare sull’istituto della sanità pubblica e contribuire al suo mantenimento.

Non solo per deontologia, visto che ogni giorno sacrifichiamo più del dovuto al fine di prestare il miglior servizio possibile ai nostri pazienti, ma anche per consegnare ai nostri figli e al futuro di tutti una società migliore.

E soprattutto difenderla da un ideologia senza umanità in cui solo il denaro è metro di giudizio su chi merita o non merita di essere curato.

 

Dario Tobruk

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