La tracheostomia nella SLA: informare a dovere pazienti e famiglie è fondamentale

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Purtroppo non esiste ancora una cura per la sclerosi laterale amiotrofica (SLA); ma va detto che negli ultimi anni sono stati introdotti cambiamenti sostanziali nel suo trattamento, col fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti e di garantire un rilevante prolungamento della loro sopravvivenza.

La tracheostomia nella SLA

Al giorno d’oggi, infatti, la gestione della SLA è diventata un processo multidisciplinare in cui, grazie alla ricerca e all’innovazione, la medicina offre importanti e decisive opzioni terapeutiche, come ad esempio la tracheostomia.

Tralasciando i motivi clinici per i quali tale opzione viene individuata come quella giusta, un interessante articolo (VEDI) pubblicato su Archivos de Bronconeumologia elenca alcune delle domande, tanto scontate quanto lecite e attuali, che ci si dovrebbe porre prima di mettere in atto tale pratica invasiva che di fatto “incastra” il paziente, qualora egli non l’abbia scelta consapevolmente, in una sorta di limbo da cui è molto complicato uscire:

“Il nostro dipartimento e l’ospedale hanno le risorse specifiche e l’organizzazione appropriata per essere in grado di offrire la tracheotomia ai pazienti che, dopo essere stati pienamente informati, desiderano continuare a vivere in caso di fallimento della gestione non invasiva?”

“Siamo in grado di trasmettere al paziente e alla sua famiglia tutte le informazioni riguardanti la tracheotomia, in modo che possano prendere una decisione informata?”

Informare pazienti e famiglie è fondamentale

Perché il problema, troppo spesso, sono proprio le mancate informazioni ai pazienti e alle loro famiglie, più che l’outcome terapeutico. Cosa, quest’ultima, su cui sembrano esserci ben pochi dubbi, visto che la tracheotomia è la scelta più giusta per i pazienti che vogliono sfidare la malattia e continuare a vivere nonostante le difficoltà (la sopravvivenza a 1 anno, infatti, nell’esperienza degli autori dell’articolo, era del 79%).

Anche nella mia esperienza professionale (ho assistito pazienti tracheostomizzati e ventilati per diversi anni, dal 2010 al 2013 e dal 2016 al 2018) mi è capitato diverse volte di interagire con caregiver stanchi e con pazienti devastati dalla malattia, che purtroppo mi riportavano spesso lo stesso identico concetto: “Se solo avessi saputo… Se solo mi avessero spiegato bene a cosa andavo incontro facendo la tracheo…”

Questo ritornello, nel tempo, mi ha fatto riflettere molto e ha generato in me diversi dubbi: tra le responsabilità più grandi del team multidisciplinare che prende in carico il malato di SLA, fin dalla diagnosi, non dovrebbe esserci anche quella di aiutare seriamente il paziente e la sua famiglia a prendere decisioni il più possibile informate?

Come assistere a casa e prendersi cura di un proprio caro:

Assistere a casa

Da chi svolge quotidianamente un lavoro a contatto con le persone malate e i loro contesti famigliari, e che affronta con loro tutto quello che può accadere dentro le case durante l’assistenza domiciliare, nasce questo agile e utilissimo manuale. Non è un testo enciclopedico, non vuole avere, per spirito degli autori stessi, la presunzione di risolvere qualsiasi problema si possa presentare nel corso dell’assistenza domiciliare. Un’assistenza domiciliare non può prescindere dalla possibilità di effettuare a domicilio le cure necessarie ed eventuali esami diagnostici. per questo c’è bisogno di creare un équipe ben addestrata di sanitari coordinati fra loro, di assicurare una reperibilità 24 ore su 24, e di avere la certezza di una base di riferimento, fulcro importantissimo, quale la famiglia e i volontari. Proprio loro infatti rappresentano il raccordo essenziale tra il paziente e il professionista. spesso si trovano a confrontarsi con una realtà diversa, piena di incognite. Devono essere edotti sui diversi aspetti della malattia ma è fondamentale che conoscano il confine entro cui muoversi e quando lasciar posto al personale sanitario. Conoscere significa non ignorare e non ignorare significa non aver paura: una flebo che si ferma non deve creare panico nei famigliari o nel volontario, anche perché essendo loro il punto di riferimento per il paziente sono loro i primi a dare sicurezza e questo avviene solo se si conoscono i problemi. Il testo cerca perciò di porre l’attenzione sulle necessità più importanti, sui dubbi più comuni, sulle possibili situazioni “difficili” che a volte divengono vere urgenze, non dimenticando i piccoli interrogativi che spesso sono sembrati a noi stessi banali ma che, al contrario, sono stati motivo di forte ansia non solo per il paziente ma anche per i famigliari e per i volontari alle prime esperienze. Giuseppe Casale, specialista oncologo e gastroenterologo, è fondatore dell’Associazione, Unità Operativa di Cure Palliative ANTEA, di cui è anche Coordinatore Sanitario e Scientifico. Membro di molte Commissioni del Ministero della Sanità in ‘Cure Palliative’, è autore di diverse pubblicazioni, nonché docente in numerosi Master Universitari. Chiara Mastroianni, infermiera esperta in cure palliative, è presidente di Antea Formad (scuola di formazione e ricerca di Antea Associazione), e membro del comitato scientifico dei Master per infermieri e medici in cure palliative dell’ Università degli studi di Roma Tor Vergata.

Chiara Mastroianni, Giuseppe Casale | 2011 Maggioli Editore

16.00 €  15.20 €

Per quale motivo a volte ciò non avviene o avviene solo parzialmente?

Cosa si interrompe in questo meccanismo informativo in cui sembrerebbe esserci molto tempo per affrontare in modo esauriente i vari problemi e le varie tappe, come quella cruciale della tracheostomia?

Ma soprattutto… Come e su cosa, nel dettaglio, il paziente e la sua famiglia dovrebbero essere adeguatamente informati?

Secondo gli autori del pezzo pubblicato su Archivos de Bronconeumologia le capacità relazionali e comunicative dei membri dell’equipe multidisciplinare sono fondamentali: le conversazioni dovrebbero essere condotte sempre con estrema chiarezza, fin dall’inizio, stimolando fiducia, utilizzando l’empatia, magari grazie all’aiuto di uno psicologo esperto che potrebbe facilitare la comprensione, ridurre al minimo lo stress e migliorare notevolmente i tempi di assimilazione delle varie informazioni.

Cos’è veramente la tracheotomia

Per aiutare pazienti e famiglie a comprendere meglio la natura di questo processo, sarebbe poi necessario assicurarsi di aver trasmesso loro il concetto che la tracheotomia (con annessa ventilazione meccanica) non è una sorta di anticamera della morte, ma un modo per ottenere un accesso sicuro alle vie aeree inferiori finalizzato alla rimozione delle secrezioni e per preservare la ventilazione alveolare quando questa non può più essere raggiunta grazie alla ventilazione non invasiva.

Bisognerebbe poi insistere sul fatto che vivere con una tracheotomia è possibile, anche se ci saranno delle difficoltà aggiuntive inevitabili come i problemi di comunicazione (anche se ci sono diverse strategie in tal senso, come comunicatori con puntatore oculare, tavole tran, ecc.), le secrezioni da aspirare, la connessione a un respiratore, ecc.

Altresì, i pazienti dovrebbero essere messi al corrente che la loro decisione influirà non poco sul benessere della loro famiglia, visto che la gestione di un paziente tracheostomizzato e ventilato di solito rappresenta un onere piuttosto gravoso per tutti, anche se solitamente i livelli di ansia e di depressione (soprattutto a carico del principale caregiver) risultano sotto controllo quando il supporto da parte dei servizi sanitari e sociali, incluso l’aiuto psicologico, è ottimale.

Vivere con una tracheotomia è possibile

Un paziente quadriplegico che riceve ventilazione tramite tracheotomia è infatti il paradigma della fragilità e della dipendenza, e i suoi caregivers si fanno carico non solo della loro gestione, ma anche della responsabilità di prendersi cura di loro con sensibilità, pazienza, empatia, continuità e di proteggerli da quelle routine del sistema sanitario che aggiungono considerevole angoscia alla loro vita quotidiana (essere accuditi da mani estranee, continue “invasioni” domiciliari da parte di persone sconosciute, pratiche poco rassicuranti e frequenti sulla loro persona, azzeramento della propria intimità, ecc.).

Certo, anche dopo aver ricevuto le informazioni più esaurienti può capitare che pazienti e famiglie cambino idea e maledicano la propria scelta iniziale di effettuare la tracheostomia, ma… Come asseriscono gli autori (in base ai loro dati) dell’articolo pubblicato su Archivos de Bronconeumologia, la maggior parte dei pazienti e dei famigliari informati, assistiti e sostenuti in modo adeguato, sceglierebbe nuovamente il percorso iniziato con la tracheostomia nonostante le moltissime difficoltà.

Alessio Biondino

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