Ossigenoterapia: indicazioni e controindicazioni dell’ossigeno in quanto gas medicinale

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L’ossigeno (O2) è l’unico ed il più importante elemento richiesto dagli esseri umani per vivere. L’ossigeno viene prodotto e venduto come gas medicinale ed è un farmaco a tutti gli effetti (D.Lgs 219/06) e come gli altri farmaci necessita di prescrizione medica.

Ossigenoterapia: indicazioni e controindicazioni

L’ossigenoterapia è un metodo di trattamento sintomatico di tutte le situazioni che comportano una riduzione dei livelli di ossigeno (PaO2) nel sangue. L’obiettivo dell’ossigenoterapia è:

– aumentare la pressione parziale di O2 a livello alveolare ed arterioso aumentando la pressione parziale inspiratoria di O2 (FiO2), con conseguente aumento della saturazione dell’emoglobina (SpO2) e del contenuto di O2 nel sangue (PaO2)
– ridurre lo sforzo respiratorio nei pazienti dispnoici
– ridurre lo sforzo cardiaco nei cardiopatici
– aumentare la sopravvivenza negli affetti da BPCO
– migliorare la qualità del sonno nei pazienti che soffrono di disturbi del sonno connessi alla respirazione

Nell’aria ambiente l’ossigeno è presente in una percentuale del 21% che in determinate circostanze non è sufficiente a venire incontro alle richieste fisiologiche o patologiche del paziente.

Per questo motivo diviene importante aumentare, in questi casi, la percentuale dell’O2 inspirato e fornire una miscela gassosa di O2 in misura tale da correggere l’ipossiemia senza deprimere il centro della respirazione.

La ventilazione polmonare normalmente è stimolata dall’instaurarsi dell’ipossia o dell’ipercapnia, quindi un’alta CO2 causa una stimolazione dell’attività respiratoria e quindi la sua eliminazione.


Attenzione!

Spesso i pazienti con insufficienza respiratoria cronica si sono ormai adattati all’aumento della CO2 e lo stimolo alla ventilazione sarà dato non tanto dall’ipercapnia quanto dall’ipossia. La correzione dell’ipossia con l’ossigeno si potrà associare quindi ad una ridotta ventilazione o depressione momentanea della ventilazione con incremento dell’ipercapnia ed eventuale carbonarcosi.

Il flusso inspiratorio di O2 (FiO2)

È un termine usato per indicare una particolare percentuale di 02 presente. Per es: l’aria che respiriamo è composta da 20.93% di 02, 78.08% di azoto e altre varietà di gas. Pertanto l’02 è soltanto una porzione dell’intera atmosfera e la sua percentuale nel contesto globale è del 21 %, FiO2=21%.
Il flusso inspiratorio ottimale è quello che:

– induce innalzamento della PaO2 tra 65-80 mmHg e quindi determina aumento dei valori di saturazione al di sopra di 90% ;
– non induce pericolosi incrementi della PaCO2 (< 10 mmHg dopo almeno due ore di somministrazione);
– annulla le desaturazioni notturne e/o sotto sforzo

L’ossigenoterapia è utilizzata sia in ambito ospedaliero, nel caso di patologie acute, sia in ambito extraospedaliero (al domicilio del pazienti), nel caso di patologie croniche come la BPCO. Nel momento in cui la terapia viene effettuata al domicilio, si parla di ossigenoterapia a lungo termine.

Disturbi e patologie acute indicate per l’O2T

Tra i disturbi e le patologie per cui può essere necessaria l’ossigenoterapia ricordiamo:

la polmonite grave: è l’infezione di uno o di entrambi i polmoni. Se è grave, causa l’infiammazione profonda degli alveoli, che quindi non riescono a scambiare una quantità sufficiente di ossigeno con il sangue.
attacchi di asma gravi. L’asma è una patologia polmonare che infiamma e fa restringere i bronchi. La maggior parte dei pazienti che soffre di asma, compresi molti bambini, riesce a gestire i sintomi in tutta sicurezza, tuttavia, se gli attacchi d’asma sono gravi, il paziente può aver bisogno del ricovero in ospedale per l’ossigenoterapia;
sindrome da distress respiratorio o displasia broncopolmonare nei bambini nati prematuri. I neonati prematuri possono soffrire di una o di entrambe queste gravi malattie polmonari. Come parte della terapia, possono ricevere l’ossigeno tramite un ventilatore o una mascherina nasale a pressione positiva continua, oppure tramite cannula nasale.

 Disturbi e patologie croniche con indicazione a O2T

L’ossigenoterapia può essere usata sul lungo periodo per curare alcuni disturbi e alcune patologie, ad esempio:

BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva). La BPCO è una malattia progressiva in cui le lesioni agli alveoli impediscono il passaggio di una quantità sufficiente di ossigeno nel sangue. L’aggettivo “progressiva” significa che la patologia tende a peggiorare con l’andare del tempo;
– insufficienza cardiaca grave. In questo disturbo il cuore non è in grado di pompare una quantità sufficiente di sangue ricco di ossigeno per soddisfare le necessità dell’organismo;
– fibrosi cistica. La fibrosi cistica è una malattia ereditaria delle ghiandole esocrine, tra cui quelle che producono il muco e il sudore. Nei pazienti che soffrono di fibrosi cistica le vie respiratorie si riempiono di muco denso e appiccicoso, che facilita la proliferazione dei batteri, causando infezioni polmonari gravi e ricorrenti. Con il passare del tempo, le infezioni possono danneggiare gravemente i polmoni;
– disturbi respiratori connessi al sonno che fanno abbassare il livello di ossigeno, ad esempio l’apnea nel sonno.

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Controindicazioni all’utilizzo dell’ossigenoterapia

L’ossigenoterapia ha fortunatamente poche controindicazioni, che includono:

– presenza di apnee ostruttive nel sonno
– grave acidosi respiratoria
– tabagismo

In base alla situazione specifica, comunque, il medico può decidere di contravvenire a tali controindicazioni, ad esempio in presenza di distress grave o di arresto respiratorio.

Effetti collaterali dell’ossigenoterapia

L’ossigenoterapia è un trattamento sicuro, con rischio di complicanze estremamente basso, se usata in modo corretto; in genere l’ossigenoterapia causa complicanze quando la quantità di ossigeno somministrata è troppo elevata, ciò può condurre a:

– possibilità di incrementi pericolosi della PaCO2 nei pazienti ipercapnici (specialmente nel paziente con BPCO) che porta ad acidosi respiratoria e a turbe della coscienza fino al coma ipercapnico. In questo tipo di pazienti, che di solito hanno una SpO2 di 88-90%, una quantità più alta del normale di ossigeno induce il cervello a credere di avere più ossigeno del normale e quindi l’attività respiratoria si ricuce. Rallentando e diventando superficiale il respiro, la ventilazione non è più efficace da eliminare la CO2 che si accumula nel sangue causando, appunto, acidosi;
– danni alla retina specie nel neonato (retinopatia del prematuro);
– danni all’orecchio medio, come la rottura del timpano;
– negli adulti può verificarsi una sindrome da sovradosaggio da ossigeno, chiamata anche sindrome di Lorrain-Smith: vi è una lesione polmonare causata da un’esposizione per lungo tempo ad un’alta pressione parziale di ossigeno. Questo porta ad una vasocostrizione, che è un meccanismo di protezione contro il sovradosaggio. Successivamente la membrana alveolo capillare si gonfia, creando una barriera di diffusione per l’ossigeno e conseguente ipossia. Si può arrivare fino ad una vera e propria ARDS (Adult Respiratory Dystress Syndrom) oppure alla fibrosi polmonare. Questi sono effetti avversi di pazienti che utilizzano l’ossigeno per periodi molto prolungati e a dosi eccessive;
– un altro effetto collaterale che viene causato dalla somministrazione di ossigeno è la vasocostrizione cerebrale e coronarica. È facile quindi intuire che le persone colpite da infarto miocardico acuto o da ictus devono ricevere ossigeno solo se è necessario, altrimenti la vasocostrizione arteriosa porta un peggioramento dell’ischemia. Questo significa che in questi pazienti l’ossigeno va somministrato in due casi: se la SpO2 è inferiore a 94% oppure se il paziente è dispnoico (o ha sintomi di ipossia quali cianosi, ecc.).

ATTENZIONE!
Come indicazione generale vale la seguente regola: usare la più bassa concentrazione o flusso possibile per ottenere un livello di ossigeno nel sangue accettabile per quel tipo di paziente.

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