Lo Sfogo di un Medico: una lettera per tutti, medici e infermieri

Dario Tobruk 12/09/16
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Abbiamo l’onore, dopo aver ricevuto il consenso dell’autore, di ospitare il post-sfogo lucido e toccante del Dott. Meschi, medico ospedaliero. Sfogo di un medico, ma che parla di tutti noi, medici e infermieri.

Interessante spaccato di vita dei nostri compagni di lavoro medici e delle loro difficoltà quanto delle nostre. Impegnati tutti i giorni, medici e infermieri, nel soddisfare le altissime aspettative che l’utenza ripone in noi. In una sanità che politicamente sa solo trincerarsi dietro a pile enormi di carta e burocrazia, scaricando le colpe sul singolo operatore piuttosto che farsi carico di una vera cultura dell’errore.

“Per la serie: ripensiamo al politicamente corretto?”

“Michele, io mi sono rotto le palle”.
Così un mio collega medico, che ha deciso di lasciare la professione.
“Ma fai il dottore? Ci riesci ancora, con la gente che c’è?”. Così, incredibilmente, un vecchio prete in un assolato pomeriggio di settembre.

Per la serie: ripensiamo al politicamente corretto?

Sono una persona molto fortunata. Ho avuto, nella professione, uno degli ultimi maestri che il mondo universitario ha saputo produrre, una persona irreprensibile e di preparazione culturale incommensurabile. Ho sempre incontrato colleghi seri, motivati, scrupolosi (perlomeno in maggioranza). Ho collaborato e collaboro con personale infermieristico e di comparto di qualità invidiabile. E io? Non posso giudicare me stesso sulla preparazione professionale, per cui mi rimetto agli altri. Però ho abbastanza capacità di introspezione per definirmi quasi ossessivamente scrupoloso, difficilmente distraibile. E talmente poco superficiale da rovinarmi la vita ogni giorno con le minuzie. Infine, così conscio della fallibilità del sistema giudiziario (si badi bene: non sfiduciato verso i singoli decisori, si pensi ai magistrati antimafia) da perseguire l’evitamento, per quanto possibile, dell’errore per un solo motivo: la paura.

Sono una persona molto fortunata: sono stato e sono perennemente circondato di elogi, le discussioni con “l’altra parte” costituiscono nella mia carriera professionale una fisiologica aneddotica. E lo stesso dicasi per i colleghi che conosco.

Fatte queste premesse, capisco benissimo perché in interi Stati americani manchino completamente figure mediche come il ginecologo, il rianimatore, il medico dell’urgenza, l’ortopedico.
Perché non se ne può più. Lo dico davvero. Lo dico a tutti. È veramente ora di finirla.

I medici ospedalieri prendono quotidianamente decisioni da far tremare i polsi, che altri colleghi, legittimamente, non sono tenuti ad assumere.

L’utenza ha tutti i diritti di questo mondo, sono utenza anch’io. Sono stato paziente, e anche per cose non piccole. Sono utenza i medici stessi. Gli infermieri e gli OSS.

Ma sono veramente terrorizzato dal grado di ignoranza, arroganza, supponenza, malafede, che accompagna gran parte di chi si rivolge alle strutture sanitarie.

Frasi come: “Secondo me non andava fatta questa cura”; “Secondo me lo avete dimesso troppo presto”; “Me lo avete fatto morire”; “Non ci avete capito niente”, per citare solo le più eleganti e intellettualmente convincenti, da parte di chi non ha la minima conoscenza e competenza di settore, si sentono in tutta Italia, in tutti gli ospedali, in tutti reparti.

Per non parlare delle aggressioni, verbali e non; delle escandescenze, degli improperi, delle scene da tragedia greca o mediterranea.

E non mi si venga a dire che il dolore, la paura o la preoccupazione giustificano tutto. A casa mia ho vissuto tragedie vere e proprie, ma i miei genitori non hanno mai alzato il tono della voce in ospedale. Mia madre ha studiato il greco antico e il latino fino al post universitario, ma andava a parlare con le maestre elementari con il pudore e l’umiltà di chi si accosta ad un’udienza papale. Mio padre si toglie il cappello davanti al postino.

Oggi? Compaiono elementi degni del più pittoresco trattato lombrosiano che ti danno del tu, non capiscono che purtroppo la medicina non è infallibile, sorvolano sul fatto che gli hai strappato i parenti da morte certa per shock settico e ti sputano addosso perché non hai fatto la richiesta dei pannoloni, degli ausili per il rientro al domicilio e perché lo Stato non gli garantisce l’assistenza gratuita a vita negli ospedali. Nonostante primario, decine di medici, caposala, infermieri, operatori sociosanitari, case manager, assistente sociale, prete e taumaturgo abbiano passato notte e giorno al capezzale del congiunto per garantirgli salute, assistenza e continuità sociosanitaria al domicilio fino alla quinta generazione. Quando negli altri paesi, se non hai la carta di credito, non ti guardano nemmeno.

E se qualcuno viene a dire che la colpa è anche di come si comportano i medici, alcuni medici, o di come si sono comportati nel passato, bestemmio. Perché io non mi comporto così. E non si comportano così i miei colleghi. E, se è vero che tutti abbiamo diritti, che il cittadino dispone del diritto alla salute, è altrettanto vero che esistono doveri minimi di convivenza civile.

Finché esisteranno spot pubblicitari, notizie di giornale che ingigantiscono la malasanità e promettono risarcimenti miliardari; finché esisterà tutto un sottosuolo di pseudomedicina parallela; finché non si ritornerà alle regole basilari dell’educazione, tutto andrà peggio.

Ma io non ci sto. Gli operatori sanitari ospedalieri, nell’esercizio delle proprie funzioni, rivestono il ruolo di pubblici ufficiali o di incaricati di pubblico servizio, ed eventuali comportamenti inopportuni dell’utenza diventano automaticamente di pertinenza del codice penale.

Esistono associazioni che devolvono il ricavato di rivalse dei medici sulle accuse infondate degli utenti ad associazioni umanitarie o enti benefici.

Vivo nella regione con il sistema sanitario più efficiente, sicuro, equo, organizzato d’Italia.

Auspico finalmente la conclusione dell’iter sulla riforma della responsabilità dei medici e degli operatori sanitari: l’onere della prova all’utente. Semplicemente, serenamente, tranquillamente.

Tra i tanti motivi che ci sono, non sarebbe il caso di incrociare le braccia per il mio collega che non vuole più lavorare, per il prete che mi chiede come faccio ancora a fare il medico?

 

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Dario Tobruk

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