Recovery Plan: il ruolo dell’Infermiere nel piano di ripresa dell’Italia

Dario Tobruk 26/04/21
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Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è il documento che descrive come l’Italia intende investire i quasi 220 miliardi di euro che l’Europa ha garantito al nostro paese per ripartire dopo l’emergenza pandemica e la relativa crisi economica che, senza dubbio, seguirà questo periodo infausto.

In questo enorme piano di investimenti, quale ruolo avranno gli infermieri? È stata prevista una funzione particolare per questa figura sanitaria?

Da una prima analisi del documento, la presenza dell’infermiere spicca nel contesto territoriale, facendo riferimento all’infermiere di famiglia e di comunità come ruolo essenziale, soprattutto nei tre luoghi di cura individuati per riformare la sanità: le Case della Comunità, il domicilio e gli Ospedali di Comunità.

L’infermiere di comunità, centrale nel potenziamento della rete territoriale

Secondo quanto indicato nell’ambito di intervento indicato come “Potenziamento dell’assistenza sanitaria e della rete sanitaria territoriale“, e come premesso dal documento, la riforma strutturale prevede il rafforzamento delle cure sanitarie sul territorio e un’ingente investimento nell’istituzione di Case e Ospedali di Comunità come perno di questa attività territoriale sanitaria.

Lo scopo ultimo sarà quello di riportare la dimensione domestica come luogo di cura preferenziale grazie all’assistenza domiciliare e l’uso delle nuove tecnologie.

Per riassumere, l’infermiere di famiglia e di comunità avrà un ruolo centrale in questi tre ambiti di investimento fondamentali per il futuro della sanità: le Case della Comunità, il domicilio e gli Ospedali di Comunità.

Case della Comunità

Molto simili ai progetti regionali già in essere, come le Case della Salute, e di cui abbiamo già parlato, le Case della Comunità saranno il punto d’incontro tra la domanda di salute e l’offerta di tutti i servizi di cure primari, necessari soprattutto per i pazienti cronici.

Polispecialistiche, punti prelievo, servizi socio-sanitari e consultori saranno riorganizzati secondo questo modello. È prevista la costruzione, o il recupero edilizio, di ben 1288 Case della Comunità entro il 2026, con un’investimento stimato intorno ai 2 miliardi di euro.

Come riportiamo dal documento: “La Casa della Comunità sarà una struttura fisica in cui
opererà un team multidisciplinare di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta,
medici specialistici, infermieri di comunità, altri professionisti della salute e potrà ospitare anche assistenti sociali“.

Assistenza Domiciliare

Il secondo investimento mira ad aumentare il numero di prestazioni domiciliari fino a prendere in carico il 10% di tutti pazienti cronici o non autosufficienti entro il 2026. La presa in carico del paziente si realizzerà attraverso la definizione di un piano assistenziale individuale, per definire, in multidisciplinarietà, i livelli e bisogni di assistenza specifici, e le risorse per erogarli.

Un altro ruolo fondamentale, che può essere assorbito dalla figura infermieristica, e che nel documento figura come fondamentale, è il case manager che rappresenterà il punto di riferimento per il paziente, la famiglia e tutti gli operatori sanitari coinvolti nel piano assistenziale.

Sono previsti circa 4 miliardi per implementare l’infrastruttura organizzativa e informatica e soprattutto coprire l’impegno economico di questo grande obiettivo.

Cronicità e dintorni

Nei libri di storia, leggeremo: “Nella prima parte del XXI secolo, la costante connessione caratterizzò la vita di tutti. Ma nei primi mesi del 2020…”. La probabile verità è che fino a oggi l’impegno a globalizzare tutti gli aspetti della nostra vita aveva scongiurato la potenziale presenza di uno stress per un evento globale,rischiandolo solo in alcuni casi sanitari oppure per incidenti nucleari o terremoti, senza tuttavia mai incrociarlo. La pandemia da Covid-19 ha modificato questo quadro costruito in un trentennio di progressive aperture delle frontiere e al commercio di beni e servizi, con un primo vero test che sta risultando catastrofico per tutto il globo, con l’Italia in prima linea. Veniamo da anni in cui la spesa sanitaria è stata complessivamente crescente, ma soprattutto è stata in gran parte determinata dalla classe di pazienti affetti da patologie croniche. Viviamo più a lungo, viviamo probabilmente meglio della generazione precedente in termini di salute, ma questo benessere richiede oggi servizi sanitari e socio-sanitari che dovrebbero essere erogati in modo diverso, per numerosità ma anche per complessità.  È il famoso spostamento del baricentro di cura, tema organizzativo individuato da anni senza ricadute programmatorie. E poi è arrivato anche il Covid. Nel periodo di crisi più nero dal secondo dopoguerra, il Servizio Sanitario Nazionale – ed in particolare quello lombardo ma anche di altre Regioni – è stato messo sotto una pressione che ha rischiato di far collassare l’intero Paese. Ora appare chiaro che il Welfare attuale dovrà cambiare per tenere in futuro un ritmo dato da un’emergenza sanitaria che prima non esisteva. Un rapido adattamento è assolutamente necessario. Nelle situazioni di emergenza le pecche organizzative vengono evidenziate molto più rispetto alle condizioni di lavoro normale, ove la buona volontà degli operatori tende a coprire le falle. L’inevitabile confusione che nascerà nel prossimo periodo non dovrà quindi far perdere di vista l’obiettivo per l’assistenza ai pazienti affetti da patologie croniche, ovvero monitoraggio, supporto al paziente, visione olistica. Se l’obiettivo è salvare il Servizio Sanitario Nazionale come patrimonio del nostro Paese, la sfida è decisiva.

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Ospedali di Comunità

Il terzo investimento riguarda l’attivazione di strutture sanitarie il cui scopo è soddisfare il bisogno di quella fascia di pazienti che si trova ad avere necessità di cure più intensive di quelle disponibili al domicilio ma non abbastanza da giustificare il ricovero ospedaliero, ovvero le cure intermedie.

Interventi a medio-bassa intensità assistenziale potranno essere forniti da degenze di durata limitata nel tempo, “a gestione prevalentemente infermieristica“.

L’Ospedale di Comunità è il punto di interposizione tra le cure ospedaliere e il domicilio, la misura per rendere possibile la continuità tra questi due contesti.

Sono previsti, quasi 380 Ospedali di Comunità, il cui investimento di 1 miliardo di euro è da realizzarsi entro il 2026. L’operatività di questo piano, sarà possibile grazie al fatto che è previsto un incremento strutturale delle dotazioni del personale, e come specificato nel documento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con “specifico riferimento agli infermieri di comunità”.

Autore: Dario Tobruk (Profilo Linkedin)

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