Sondaggio FNOPI: il 40,2% degli infermieri dichiara di essere stato aggredito 10-12 volte nell’ultimo anno

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Continuano senza sosta, da nord a sud del paese, le aggressioni agli infermieri. E l’identikit dell’aggredito “ideale”, secondo un sondaggio condotto su un campione di iscritti all’Albo dalla Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), è ben delineato: donna (in oltre il 72% dei casi), tra i 30 e i 40 anni (oltre un terzo), che opera nel servizio pubblico (quasi nel 90% dei casi) e soprattutto in pronto soccorso (42%).

Il sondaggio, prodotto per la rilevazione promossa dall’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza degli Esercenti le Professioni Sanitarie e socio-sanitarie del Ministero della Salute su tutte le categorie di personale sanitario, è stato presentato oggi a Roma in occasione della “Giornata Nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari”. All’evento ha partecipato per FNOPI il consigliere nazionale Carmelo Gagliano.


Nel campione partecipante alla survey, gli infermieri che hanno dichiarato di aver subito aggressioni durante l’anno appena trascorso sono il 40,2%. E parliamo di una media di episodi di oltre 10-12 ciascuno nel corso di un anno solare!

Ciò è decisamente preoccupante, vista l’analisi svolta dalla Federazione in occasione dello studio CEASE-IT del 2021-2022, quando le otto università che hanno analizzato la situazione avevano rilevato “solo” un 32,3% di infermieri aggrediti durante l’anno.

Questi numeri, decisamente più grandi del 33% denunciato all’Inail (che prende in considerazione solo i casi in cui interviene l’azione assicurativa) dovrebbero far riflettere chi di dovere su come affrontare in fretta e con estrema decisione il problema. Anche alla luce del fatto che, ancora troppo spesso, gli infermieri che hanno subito violenza sul posto di lavoro non lo hanno denunciato nemmeno!


E non lo hanno fatto perché, come rilevato da FNOPI, nel 67% dei casi hanno ritenuto che le condizioni dell’assistito e/o del suo accompagnatore fossero causa dell’episodio di violenza, nel 20% erano convinti che tanto non avrebbero ricevuto nessuna risposta da parte dell’organizzazione in cui lavora, nel 19% ritenevano che il rischio sia una caratteristica attesa/accettata del lavoro e nel 14% perché si sentono in grado di gestire efficacemente questi episodi senza doverli riferire.

«Il vissuto di un infermiere, di un professionista che in qualche modo è aggredito – ha affermato Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI – è un vissuto che fa fatica ad essere elaborato. Ci sono studi internazionali che ci parlano di episodi di burnout, stress, disaffezione, tanto è vero che in questi anni si registrano molti casi di abbandono delle professioni di cura e assistenza».


«L’aggressione – conclude Mangiacavalli – è l’effetto di una serie di cause anche importanti che affondano le radici in diversi contesti, tra cui i modelli organizzativi e alcune mancate risposte che i cittadini patiscono, anche se non soprattutto, per la ormai cronica carenza di personale, che peggiora una situazione di disagio organizzativo e di stress lavorativo. I bisogni dei cittadini spesso non vengono convogliati verso i luoghi più adeguati.

Ad esempio, molti accessi al Pronto Soccorso non sono legati a situazioni di criticità vitali. Emergono invece bisogni di ascolto, necessità di presa in carico di situazioni complesse, che sfiorano la sfera socioassistenziale. Si aspettano quindi una risposta da un servizio, da una struttura, che spesso non è quella corretta. Occorre quindi investire affinché vi siano servizi territoriali sempre più capillari e conosciuti».

Nulla da eccepire. A parte il fatto che… Magari, cara presidente, la causa di burnout, stress, disaffezione e della fuga dalla professione infermieristica fosse fosse da ricercare “solo” nelle aggressioni. Magari! Probabilmente ci troveremmo di fronte a numeri decisamente diversi. Ma questa è un’altra storia…

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Alessio Biondino

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