Un Infermiere può avere tatuaggi e piercing?

Dario Tobruk 08/05/17
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Si possono portare piercing durante l’assistenza? Come influisce sul rapporto assistenziale? Un infermiere può avere tatuaggi? Non parliamo di tattoo nascosti ma di evidenti e visibili, ad esempio tatuaggi sulle dita delle mani o sugli avambracci. Piercing ben esposti sul ciglio o magari un Septum?

infermiere barbuto con tatuaggi
infermiere barbuto con tatuaggi

Infermiere con tatuaggi, piercing e barba lunga?

Se un giovane ragazzo motivato e desideroso di fare dell’infermieristica una professione, per proprio estro, presentasse tutta una serie di tattoo, piercing e non si facesse mancare anche una barba importante, un tipo simile a questo:

Tutto questo potrebbe comprometterne la carriera? Addirittura ostacolarla? I punti da analizzare, a mio avviso, sono diversi.

 

Premessa: Io sono dell’opinione che un sanitario debba essere giudicato per la sua professionalità e non dal suo aspetto, ma ovviamente la mia opinione vale meno di zero rispetto ai fatti e le seguenti considerazioni.

professionista sanitario tatuato
fonte pinterest.com

 

Un infermiere può avere tatuaggi?

Secondo evidenze scientifiche, e comune esperienza, il paziente e l’utenza in generale impiegano pochi secondi per farsi un’idea (stereotipata) del professionista che gli si trova di fronte. Quest’immagine si baserà sulle esperienze, età, livello d’istruzione, esposizione ai media e background sociale dei pazienti e dei parenti:

  • un infermiere straniero probabilmente avrà meno resistenze se lavora in un ambiente multietnico perché la comunità attorno è più esposta a cittadini extracomunitari.
  • un infermiere maschio oggi passerà inosservato ai molti, rispetto a quando in Italia fu aperta la professione al genere maschile. Ovvero quello che è normale oggi non lo era ieri.
  • di fronte ad un vasto tatuaggio probabilmente un paziente giovane avrà minori pregiudizi rispetto ad un paziente anziano, perché tra i giovani il tatuaggio è, già da una decina d’anni, stato sdoganato.

Non sarà sempre così ma è più probabile che si possano presentare casi simili a questi appena esposti se si considera un campione più grande di un singolo ospedale o territorio.

Dal punto di vista legale ad oggi non esistono leggi che possano far desistere un infermiere nel farsi un tatuaggio ove egli desidera. Eccezione se l’infermiere volesse far parte del corpo militare o delle forze dell’ordine, in questo caso i bandi di concorso vietano l’ammissione a chi possegga tatuaggi.

Un infermiere tatuato di fronte al malato

Il problema che sussiste per l’infermiere tatuato è quello di porsi nei confronti di un’utenza che (a prima impressione) potrebbe farsi un’idea errata del professionista. Il sanitario si troverebbe di fronte ad un paziente che desidera e pretende un’apparenza quanto più rassicurante possibile.

Un’immagine (piercing e tattoo) che si discosta così tanto dallo standard dell’infermiere/a, veicola un messaggio personale ed eccentrico (la personalità dell’infermiere/a) che sarà incombenza del paziente da analizzare ed eventualmente accettare o peggio rifiutare.

Ma è palese che è necessario giustificare ogni malato per il fatto che egli non può riservare quelle energie a tale compito e che preferirebbe concentrarle su di sé e sul suo vissuto attuale. Anzi preferirebbe, giustamente, che quelle energie siano spese per lui.

Quindi, il problema non è il tatuaggio in sé ma come questo possa intercedere negativamente sul rapporto di fiducia con il paziente.

Professione infermiere: alle soglie del XXI secolo

La maggior parte dei libri di storia infermieristica si ferma alla prima metà del ventesimo secolo, trascurando di fatto situazioni, avvenimenti ed episodi accaduti in tempi a noi più vicini; si tratta di una lacuna da colmare perché proprio nel passaggio al nuovo millennio la professione infermieristica italiana ha vissuto una fase cruciale della sua evoluzione, documentata da un’intensa produzione normativa.  Infatti, l’evoluzione storica dell’infermieristica in Italia ha subìto un’improvvisa e importante accelerazione a partire dagli anni 90: il passaggio dell’istruzione all’università, l’approvazione del profilo professionale e l’abolizione del mansionario sono soltanto alcuni dei processi e degli avvenimenti che hanno rapidamente cambiato il volto della professione. Ma come si è arrivati a tali risultati? Gli autori sono convinti che per capire la storia non basta interpretare leggi e ordinamenti e per questa ragione hanno voluto esplorare le esperienze di coloro che hanno avuto un ruolo significativo per lo sviluppo della professione infermieristica nel periodo esaminato: rappresentanti di organismi istituzionali e di associazioni, formatori, studiosi di storia della professione, infermieri manager. Il filo conduttore del libro è lo sviluppo del processo di professionalizzazione dell’infermiere. Alcune domande importanti sono gli stessi autori a sollevarle nelle conclusioni. Tra queste, spicca il problema dell’autonomia professionale: essa è sancita sul terreno giuridico dalle norme emanate nel periodo considerato, ma in che misura e in quali forme si realizza nei luoghi di lavoro, nella pratica dei professionisti? E, inoltre, come si riflettono i cambiamenti, di cui gli infermieri sono stati protagonisti, sul sistema sanitario del Paese? Il libro testimonia che la professione è cambiata ed è cresciuta, ma che c’è ancora molto lavoro da fare. Coltivare questa crescita è una responsabilità delle nuove generazioni. Le voci del libro: Odilia D’Avella, Emma Carli, Annalisa Silvestro, Gennaro Roc- co, Stefania Gastaldi, Maria Grazia De Marinis, Paola Binetti, Rosaria Alvaro, Luisa Saiani, Paolo Chiari, Edoardo Manzoni, Paolo Carlo Motta, Duilio Fiorenzo Manara, Barbara Man- giacavalli, Cleopatra Ferri, Daniele Rodriguez, Giannantonio Barbieri, Patrizia Taddia, Teresa Petrangolini, Maria Santina Bonardi, Elio Drigo, Maria Gabriella De Togni, Carla Collicelli, Mario Schiavon, Roberta Mazzoni, Grazia Monti, Maristella Mencucci, Maria Piro, Antonella Santullo. Gli Autori Caterina Galletti, infermiere e pedagogista, corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.Loredana Gamberoni, infermiere, coordinatore del corso di laurea specialistica/ magistrale dal 2004 al 2012 presso l’Università di Ferrara, sociologo dirigente della formazione aziendale dell’Aou di Ferrara fino al 2010. Attualmente professore a contratto di Sociologia delle reti di comunità all’Università di Ferrara.Giuseppe Marmo, infermiere, coordinatore didattico del corso di laurea specialistica/ magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede formativa Ospedale Cottolengo di Torino fino al 2016.Emma Martellotti, giornalista, capo Ufficio stampa e comunicazione della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi dal 1992 al 2014.

Caterina Galletti, Loredana Gamberoni, Giuseppe Marmo, Emma Martellotti | 2017 Maggioli Editore

32.00 €  30.40 €

Il problema dei tatuaggi degli infermieri

Ma nulla è perduto! Il tatuaggio non è una causa imprescindibile: la presenza di un tattoo potrà essere superata con l’utilizzo di un maggior dispendio di energie per l’infermiere, che dovrà impiegare più tempo e maggiori accortezze affinché l’utente possa affidarsi completamente al sanitario.

Potrebbe però capitare che, nonostante tutti gli sforzi, il paziente non si affidi al sanitario e nel caso dovrebbe delegarne l’assistenza ad altro collega con aggravi organizzativi per il reparto ma soprattutto psicoemotivi per il paziente e l’infermiere stesso.

Un infermiere può avere piercing?

Qui la questione è più semplice: oltre al già esaminato ostacolo percettivo tra alcuni pazienti e la propria personalità. L’infermiere non dovrebbe indossare collane e/o orecchini, perché questi possono essere pericolosi per sé stessi e per pazienti confusi che più o meno volontariamente, potrebbero strapparli. Oltre al rischio effettivo che gli stessi possano impigliarsi con oggetti e parti varie durante l’assistenza di ogni genere. Non ricordiamo l’ovvio poi, il piercing è un vettore di agenti patogeni.

Conclusione

L’infermiere dovrebbe quindi desistere dal farsi tatuaggi, se non già presenti, in zone visibili del corpo o in caso contrario, accettare e considerare un certo investimento di tempo ed energie per poter svolgere sempre il proprio compito con tutta la fiducia accordabile da parte del paziente. Poi c’è sempre una soluzione efficace che taglia la testa al toro: coprire ad arte il tatuaggio con delle magliette.

Discorso diverso per quanto riguarda i piercing che andrebbero sempre rimossi insieme a collane, anelli e bracciali, prima di prestare assistenza sia a beneficio del paziente ma dell’infermiere stesso che si presterebbe a pericoli come lo strappo violento del piercing stesso.