Il Pianista: l’esperienza di un Infermiere di famiglia e di comunità con un paziente artista.

Redazione 31/07/17
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Il brano è tratto dal volume L’infermiere di famiglia e di comunità (e il diritto di vivere a casa anche quando sembra impossibile… ) autori Maila Mislej e Flavio Paoletti, è l’esperienza di un’infermiera di famiglia e della sua singolare presa in carico di un paziente particolare, di come questa figura professionale sempre più si impone come necessaria e indispensabile affinché la Sanità abbia un futuro degno di questo nome, e come spesso l’intervento al domicilio travalichi il mero tecnicismo e si trasformi in vero olismo e relazione ed empatia.

il Pianista e la presa in carico: esperienza di un infermiere di famiglia

Federica Sardiello (Infermiera di famiglia referente delle Microaree di Cittavecchia e Ponziana – Distretto 2- Trieste), racconta la storia di un assistito la cui povertà non è il reddito ma la solitudine ed è utile a comprendere i positivi effetti dell’empatia. Giulia e Paolo sono nomi fittizi dietro ai quali si celano i veri protagonisti.

Necessita di medicazioni per ulcera”, così recita la prescrizione del medico che la collega porta con sé quella mattina assieme al suo zaino pieno di tante cose, tutto quello che potrebbe servire per curare quella lesione, tutto quello che è servito in altre occasioni per curarne altre, tutto quello che di solito i parenti premurosi amano accumulare con cura sui comò oltre ad altre cose come, forse, surrogati di attenzioni mancate in passato.

Tratto da:

Mentre percorre quelle strade così note, viene assalita da quell’ansia fisiologica che accompagna sempre i primi accessi a domicilio di un assistito ancora anonimo. La prescrizione, che stringe tra le mani, dice poco sulla lesione e nulla su chi ce l’ha, e fa sperare ad un caso da manuale. Un’ulcera magari granuleggiante, adagiata e circoscritta, senza odore, senza dolore, senza contesto, senza una storia e un perché. Ma non può
essere così.

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Dà uno sguardo ai campanelli alla ricerca di quel nuovo nome che più tardi dovrà inserire nel programma settimanale. È un condominio dove abitano molti anziani soli già noti al servizio. A più di un nome associa un volto, una storia, una patologia, ma anche immagini di una casa, odori e ricordi personali legati magari alla stagione, al clima lavorativo di quel momento, ai colleghi di lavoro, e a qualcosa di importante che forse in quel periodo stava accadendo nella sua vita. È così che tutte le volte quella comunità l’accoglie e la proietta in una dimensione così familiare da farla sentire parte di essa, forse più Giulia e un po’
meno infermiera.

Quando Paolo apre la porta, viene assalita da un odore stantiodi cose vecchie , misto a fumo e urina. Ha settant’anni, un corpo segnato da trascuratezza e cattive abitudini e negli occhi lo sguardo di chi non ha vissuto. Sembra un paradosso, non è solo, vive con la madre, una donna molto anziana che in qualche modo si prende cura di lui.

Giulia ci mette poco a capire che l’ulcera tibiale, così circoscritta e poco secernente, è solo la punta di un’ iceberg. Gli arti inferiori sono molto edematosi e il suo respiro è affannoso,
Paolo è cardiopatico. Lui conferma e dice “… ero in ospedale, mi davano tante medicine, ma non potevo stare lì a lungo … dovevo tornare a casa, da mia madre e dal mio pianoforte!”. Racconta con semplicità che non gli importa nulla di quelle gambe gonfi e che gli impediscono di muoversi e di quel respiro che la notte lo tiene sveglio e nemmeno di quei farmaci che dovrebbe prenderee che invece non prende.

Gli basta arrivare al pianoforte e avere la forza nelle dita per suonarlo e raccontare con la musica di sé, della sua vita vuota, di quelle emozioni che né i suoi occhi né la sua voce tradiscono. È quel suono familiare a scandire le sue giornate.

Giulia potrebbe barricarsi dietro a quel muro, così alto e così facile da innalzare, fatto di dati clinici indiscutibilmente preoccupanti, chiamare l’ambulanza e farlo ricoverare e continuare il suo giro cercando di convincersi di aver fatto il meglio. Inizia invece con
Paolo un percorso non facile, fatto di domande e offerte, di discussioni e compromessi, di fiducia che arriva, si perde e poi ritorna, di amor proprio e consapevolezza.

Il progetto assistenziale individuale parte dalla necessità di risolvere in modo rapido ed effi cace un problema di salute mettendo in campo le risorse per arrivare però anche al soddisfacimento di un bisogno più intimo, sempre celato, il desiderio di ampliare, almeno ancora un po’, il senso della propria vita.

Paolo oggi si fida, ha accettato la visita del cardiologo a domicilio e prende i farmaci che gli ha prescritto, c’è qualcuno che lo aiuta a tenere pulita e profumata la casa ed esce tutti i giorni perché il suo umore è migliorato.

Ma si può fare di più? Dalla discussione quotidiana dei casi con i colleghi arriva un’idea e
Giulia mette nello zaino di servizio, oltre al suo consueto armamentario, un nuovo pianoforte e un appuntamento fisso alla Residenza sanitaria assistenziale del Distretto dove Paolo suona ogni giovedì e dove tutti lo chiamano, come sempre avrebbe
voluto, il Pianista.

Questa ed altre storie nel volume:

Il ruolo sociale dell’infermiere di famiglia e di comunità

Quella del Pianista evidenzia la necessità di pensare ad un’autonomia non solo fisica ma anche sociale e affettiva. Seppure in taluni casi la solitudine è un aguzzino dietro a una porta blindata, si può trovare il modo per farsi dare la chiave dall’assistito.

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