Una donna americana ha lavorato come falsa infermiera per anni con l’uso di decine di identità false: il caso americano riaccende l’allarme sull’abusivismo professionale anche nel sistema sanitario italiano.
Il rischio di abusivismo professionale in ambito infermieristico è tutt’altro che marginale. Episodi di falsi infermieri scoperti solo dopo mesi di attività in reparto continuano a emergere, alimentati da una combinazione pericolosa: carenza di personale, ricorso massiccio ad agenzie interinali e controlli spesso superficiali sui titoli dichiarati.
Infermiera con 20 identità diverse
Immaginate di affidarvi a un’infermiera durante una medicazione o un prelievo. Ora immaginate di scoprire dopo qualche mese che quella persona non è mai stata davvero un’infermiera ma una criminale che ha rubato fino a 20 identità diverse e fino a 4 licenze per operare negli Stati Uniti come infermiera.
Sembra l’inizio di un episodio da serie Crime, ma è invece un caso reale avvenuto oltreoceano e che sta sollevando interrogativi inquietanti sulla sicurezza nelle strutture sanitarie americane.
Una donna ha lavorato per anni in più strutture sanitarie utilizzando identità altrui, titoli falsificati e numeri di previdenza sociale (più o meno il nostro codice fiscale) rubati.
Secondo le indagini, avrebbe coperto ruoli diversi, da infermiera generica a supervisore. In alcuni casi, è stata persino accusata di sottrarre farmaci stupefacenti, aggravando una situazione già allarmante.
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Com’è possibile continuare a ingannare tanti ospedali?
Ma come ha potuto aggirare i controlli? Con una combinazione di agenzie interinali, documentazione contraffatta e finte referenze, è riuscita a infiltrarsi nel sistema. Addirittura aveva creato una propria “agenzia di collocamento” per pilotare le assunzioni.
Questo caso non è solo un’anomalia: è uno specchio deformante delle fragilità che ancora esistono nei processi di verifica delle competenze sanitarie. E riguarda da vicino anche l’Italia, dove la carenza di personale e la pressione sulle risorse possono spingere le strutture a velocizzare le assunzioni, talvolta senza controlli approfonditi.
Per gli infermieri italiani, il messaggio è chiaro: la tutela della professione passa anche dalla vigilanza.
Verificare, segnalare, non voltarsi dall’altra parte. Chi indossa una divisa sanitaria senza titoli non solo tradisce una professione fondata su studio, fatica e responsabilità, ma espone i pazienti a rischi reali.
E in un sistema che già arranca, l’ultima cosa che possiamo permetterci è un abusivo tra le corsie.
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