Comprendere il principio della rTMS
Capire se la rTMS funziona significa interrogarsi su ciò che realmente accade nel cervello di una persona dipendente quando si tenta di modulare, dall’esterno, l’attività neuronale. La Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), e nella sua forma più recente, la rTMS (repetitive TMS), applica impulsi magnetici a specifiche aree corticali implicate nel craving. Questa modulazione può temporaneamente ridurre il desiderio di sostanza, offrendo al soggetto uno spazio di controllo maggiore. Tuttavia, tale risultato non equivale ancora a una trasformazione stabile dei comportamenti di dipendenza.
Dalla riduzione del craving al cambiamento reale
La TMS agisce sui circuiti cerebrali della gratificazione, intervenendo sulla dinamica dopaminergica che sostiene la ricerca compulsiva di sostanze. Gli studi più recenti suggeriscono un miglioramento nella capacità di resistere agli stimoli associati all’uso, ma si tratta di effetti prevalentemente transitori. L’efficacia clinica, dunque, non dipende solo dall’intensità o dalla frequenza della stimolazione, ma dal contesto in cui l’intervento si inserisce: un percorso terapeutico capace di integrare psicoterapia, farmacologia e riabilitazione relazionale.
Il rischio dell’illusione tecnologica
Una parte della comunicazione pubblica tende a presentare la rTMS come una procedura “risolutiva”, promettendo risultati rapidi e duraturi. Questa narrativa è pericolosa, perché riduce la complessità della dipendenza a un mero squilibrio neurochimico, ignorando le componenti affettive, familiari e sociali che la sostengono. Senza una cornice clinica strutturata, la stimolazione magnetica rischia di produrre false aspettative e, in caso di ricaduta, un senso di fallimento amplificato.
L’efficacia nel contesto terapeutico integrato
Come sottolineato dall’Istituto Europeo delle Dipendenze (IEuD), la rTMS funziona nella misura in cui è parte di una rete terapeutica integrata, supervisionata da professionisti esperti. La sua efficacia non va cercata nel miracolo tecnologico, ma nella possibilità di sostenere il lavoro clinico, offrendo un supporto a un processo di cura già in atto. È l’integrazione, e non la sostituzione, a determinare la qualità dell’esito.
L’esperienza clinica insegna che la tecnologia, per essere efficace, può portare a cambiamenti significati solo se inserita in un percorso terapeutico più ampio.
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