Licenziamento del lavoratore, ma solo se lo scarso rendimento è a lui imputabile.

Redazione 29/03/17
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Riceviamo e diffondiamo l’ultimo commento AADI: Commento a Cassazione sez lavoro n. 07522 del 23 marzo 2017 redatto dal Dott. Carlo Pisaniello. Il caso: licenziamento del lavoratore per scarso rendimento in seguito reintegrato e risarcito dalla società condannata dalla Corte.

Si al licenziamento del lavoratore, ma solo se lo scarso rendimento è a lui imputabile e danneggia la produzione. 

Con ricorso al tribunale di Firenze, il lavoratore con mansioni di autista impugnava il licenziamento inflittogli dall’azienda per “scarso rendimento e palese insufficienza nell’adempimento delle funzioni del proprio grado”, con richiesta di reintegra e risarcimento del danno. Il giudice adito accoglieva la domanda.

L’azienda dal canto suo proponeva ricorso alla Corte di Appello di Firenze, la quale, rigetta il ricorso per i seguenti motivi;

  • Il giudice di prime cure ha giustamente, in applicazione dell’art. 7 della L. n. 300/70 c.d. “statuto dei lavoratori” escluso la rilevanza delle sanzioni disciplinari risalenti a più di due anni prima all’ultima contestazione.
  • Lo scarso rendimento del lavoratore al pari della “palese insufficienza imputabile”, deve essere sorretto dall’imputabilità della condotta e non valutato sul piano esclusivamente oggettivo.
  • In assenza di una norma speciale del RD 148/31, doveva trovare applicazione appunto l’art. 7 della L. n. 300/70 “statuto dei lavoratori”, il quale sarebbe stato applicabile anche a volere ritenere prevalente il carattere oggettivo dello scarso rendimento, in quanto espressione di un principio di carattere generale.
  • I fatti relativi all’ultimo biennio non erano di gravità tale da ledere il rapporto fiduciario e neanche tali da giustificare l’interruzione di un rapporto di lavoro quasi trentennale; lo scarso rendimento pur volendo riconoscere una valenza meramente oggettiva, sussisteva solo in caso di incidenza sulla produttività aziendale, che nella fattispecie non si era verificata, ove si fosse dato rilievo  sotto il profilo soggettivo, poi, non si ravvisavano condotte generatrici della lesione del vincolo fiduciario.
  • Non si poteva poi accogliere la domanda in applicazione del novellato art. 18 della L. n. 300/70, giacché il licenziamento era stato intimato anteriormente alla data di entrata in vigore della L. 28 giugno 2012 n. 92, c.d. “Riforma Fornero”.

La società datrice di lavoro ricorre in Cassazione.

La società ricorrente insiste anche in cassazione sul fatto che, la Corte territoriale è caduta in errore avendo erroneamente sussunto che il recesso era stato inflitto per scarso rendimento nell’ambito del licenziamento disciplinare, mentre la società ricorrente configurava l’ipotesi di inefficienza oggettiva della prestazione rispetto al perseguimento degli obiettivi aziendali, con la conseguenza che il modello di riferimento era da ricondursi al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Secondo la società ricorrente, il comportamento del lavoratore era stato oggettivamente causa di grave disservizio con conseguente danno di immagine della società, comprovato dalle numerose contestazioni disciplinari. Mentre per la corte territoriale, queste, non potevano essere prese in considerazione essendo trascorsi più di due anni dall’ultima.

La Suprema Corte dichiara i motivi del ricorso infondati deducendo quanto segue:

“la nozione di scarso rendimento di cui all’art. 27, lett. d) del regolamento allegato A al RD 148/193 (coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tramvie e linee di navigazione interna in regime di concessione) è stata legata piuttosto che al dato obiettivo della inidoneità della prestazione al conseguimento degli obiettivi aziendali, ad un inadempimento del lavoratore che abbia carattere notevole e sia a lui imputabile. In sentenze precedenti è stato affermato che lo scarso rendimento è caratterizzato da colpa del lavoratore, in continuità anche con la consolidata giurisprudenza di questa corte che ha ritenuto irrilevante ai fini dell’integrazione dello scarso rendimento, le assenze per malattia”.

L’esonero per scarso rendimento deve essere connesso ad un fatto risalente alla condotta negligente dell’agente lesiva degli obblighi contrattuali e, che, l’inadempimento del lavoratore “sia di non scarsa importanza” rispetto agli obiettivi fissati dai programmi di produzione aziendale, dovendosi per altro considerare superato il diverso indirizzo secondo cui lo scarso rendimento previsto dall’art. 27 co. 1 lett. d) del RD 148/1931 rileva indipendentemente dalla sua imputabilità a colpa del lavoratore.

L’esonero definitivo dal servizio per scarso rendimento previsto dall’art. succitato si connota dunque per un duplice profilo, oggettivo e soggettivo;

  • Sul piano oggettivo per un rendimento della prestazione inferiore alla media esigibile;
  • Sul paino soggettivo per l’imputabilità a colpa dell’agente.

Una volta quindi ricostruita la fattispecie dello scarso rendimento in termini di violazione evidente della diligenza del prestatore d’opera ed a lui imputabile, divengono palesi le analogie con l’omologo illecito disciplinare previsto nella disciplina comune del rapporto di lavoro.

Di qui la conseguenza già ricavata da questa Corte secondo cui lo scarso rendimento non può essere dimostrato dai plurimi precedenti disciplinari del lavoratore, già sanzionati in passato, perché ciò costituirebbe una indiretta duplicazione degli effetti di condotte oramai esaurite. Deve trovarsi applicazione, anche nel caso di scarso rendimento di cui alla disciplina summenzionata, il divieto più volte affermato da questa corte di esercitare due volte il potere disciplinare per lo stesso fatto sotto il profilo di una sua diversa valutazione o configurazione giuridica c.d. “ne bis in idem”.

Viene inoltre cassato anche l’altro motivo di doglianza della società ricorrente riguardo alla invocazione alla fattispecie di causa, del regime sanzionatorio di cui alla legge Fornero, la Corte ha più volte affermato che la novella dell’art. 18 della L. n. 300/70 è inapplicabile ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge stessa, nonché più generalmente, ai licenziamenti intimati precedentemente alla suddetta data.

Condannata la società datrice di lavoro

Viene quindi rigettato il ricorso e condannata la società datrice di lavoro, compensando le spese tra le parti.

Il lavoratore è stato quindi giustamente reintegrato e risarcito (già dal primo ricorso) non avendo riconosciuto sotto il profilo soggettivo ed oggettivo lo scarso rendimento palesato dalla società datrice di lavoro.

Dott. Carlo Pisaniello

Redazione

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