Licenziamento disciplinare per sottrazione di beni aziendali. Sanzione sproporzionata

Redazione 09/05/17
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Riceviamo e pubblichiamo una nota AADI del Dott. Carlo Pisaniello al Commento a Cassazione; Sez. Lavoro 10838, del 4 maggio 2017 sul caso di Licenziamento disciplinare per sottrazione di beni aziendali che ha portato l’imputato a subire una sanzione spropositata rispetto all’accusa di aver sottratto dei guanti dal posto di lavoro.

Licenziamento disciplinare per sottrazione di beni aziendali

Con sentenza del 3 aprile 2014, la Corte d’Appello di Napoli, in riforma della decisione del Tribunale di Avellino, accoglieva la domanda proposta dal lavoratore E.L. nei confronti della D.T.S. S.p.A, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare irrogatogli per sottrazione di beni aziendali pronunziando l’ordine di reintegrazione e la condanna della Società al risarcimento del danno commisurato alle mensilità maturate dalla data del licenziamento.

La decisione della Corte territoriale deriva dall’aver ritenuto, pur avendo riconosciuto la veridicità del fatto del possesso delle cinque paia di guanti nuovi di quelli in uso presso il suo reparto, non configurabile l’ipotesi della sottrazione o comunque l’intenzionalità della condotta, risultandone sproporzionata la sanzione espulsiva irrogata.

Per tale decisione ricorre in cassazione la Società, affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, il lavoratore.

La Società ricorrente, denuncia il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ossia il furto dei guanti ai fini della formazione del proprio convincimento, delle dichiarazioni e del comportamento tenuto dallo stesso lavoratore all’atto del controllo a campione subito, nonché sulle modalità attraverso le quali il lavoratore nel corso della giornata si era procurato guanti in misura palesemente eccedente le proprie necessità e il posizionamento degli stessi nella borsa con cui li recava fuori dello stabilimento.

Con il secondo motivo di ricorso, la società datrice di lavoro vuole denunciare, anche sotto il profilo della nullità della sentenza, la violazione dell’obbligo di motivazione della stessa in particolare, riguardo al giudizio in ordine alla carenza di intenzionalità della sottrazione di beni dell’azienda.

La Suprema Corte dal canto suo ritenendo i due motivi strettamente connessi, decide che possono essere trattati congiuntamente, ma devono ritenersi inammissibili.

La Suprema Corte reputa che il vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, denunciato con il primo motivo, oltre ad essere formalmente dedotto in termini non conformi al disposto dell’art. 360, n. 5, c.p.c., nuovo testo, nell’interpretazione di questo accolta da questa Corte (cfr. Cass. 22.9.2014, n. 19881), non sembra ravvisabile in termini sostanziali, trovandoci di fronte ad una mera rilettura da parte della Società ricorrente di atti processuali e dichiarazioni testimoniali già tenuti presenti dalla Corte territoriale.

Infatti la Corte territoriale si è pronunziata su entrambi gli aspetti fattuali oggetto della rivisitazione operata dalla Società ricorrente: la reazione del lavoratore all’atto del controllo e le regole di distribuzione dei guanti.

Sul primo, intorno al nodo cruciale della riconducibilità della condotta del lavoratore all’intento dell’appropriazione e del trafugamento di materiale aziendale; il secondo sul convincimento maturato in termini negativi che però risulta sorretto da una motivazione, ossia dalla considerazione dell’atteggiamento del lavoratore all’atto del controllo, atteggiamento valutato idoneo a riflettere la plausibilità del rinvenimento nello zaino di più paia di guanti, plausibilità avvalorata però dall’impossibilità della Società di dar conto delle consegne effettuate ai lavoratori e arrivando alla conclusione del mancato raggiungimento della prova certa dell’intento “trafugatorio” e alla negazione, pertanto, della riferibilità della condotta alla norma collettiva invocata e della proporzionalità della sanzione irrogata, così da legittimare la cassazione della sentenza impugnata.

In sostanza, la Corte non ritenendo provata l’intenzionalità della condotta del lavoratore, ossia la volontà di voler in realtà sottrarre i guanti per farne un uso diverso da quello previsto, ha ritenuto la sanzione espulsiva esorbitante rispetto al danno arrecato all’azienda e per tali motivi ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla Società datrice di lavoro che voleva a ogni costo la conferma del licenziamento del dipendente.

La Suprema Corte quindi, ritiene che il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e condanna alle spese la società ricorrente che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Dott. Carlo Pisaniello

Redazione

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