Una porta lasciata aperta, un paziente fragile e un finale tragico. La vicenda si è consumata in silenzio, tra le mura di una residenza sanitaria assistenziale.
Dopo anni di indagini e un processo per omicidio colposo, il tribunale di Pesaro si è espresso sull’imputazione di una coordinatrice e un’oss sulla morte del paziente disabile che si è abbuffato di nascosto fino all’ab-ingestis.
Una sentenza che, oltre a fare giurisprudenza, invita a riflettere su cosa significhi davvero garantire protezione in ambienti dove fragilità e autonomia convivono in equilibrio precario.
Coordinatrice e OSS sotto processo per omicidio colposo
Il paziente era affetto da oligofrenia cerebropatica grave e necessitava di assistenza per alimentarsi. Eppure, quattro anni fa, è riuscito a entrare nella cucina della RSA Tomasello di Pesaro senza essere visto e ingerire un ciambellone in modo compulsivo. Purtroppo, pochi giorni dopo, il paziente è morto per una polmonite ab ingestis.
L’incidente è costato la vita all’uomo di 55 anni, ma fortunatamente per loro, a distanza di anni, il tribunale di Pesaro ha pronunciato l’assoluzione per le due operatrici sotto processo.
Sul banco degli imputati: la coordinatrice infermieristica della struttura, difesa dall’avvocato Massimo Facondini, e un’OSS assistita dai legali Enrico Dall’Acqua ed Emanuela Perrotta. Entrambe accusate di omicidio colposo, per non aver segnalato le condizioni del paziente alla direzione sanitaria o per aver omesso un’adeguata vigilanza. Ma per il giudice, “il fatto non sussiste”.
Una serie di disattenzioni lasciano il campo alla tragedia
Secondo il regolamento interno, le porte della struttura devono rimanere chiuse a chiave proprio per tutelare i pazienti più fragili. Ma una disattenzione – mai chiarita dagli inquirenti – ha lasciato quella porta aperta. L’infermiere di turno l’ha poi trovata spalancata e l’ha richiusa, senza sapere che l’uomo era già entrato.
Sulla scena, un ciambellone lasciato incustodito. Il paziente lo ha divorato rapidamente, in modo disorganizzato e pericoloso. A ritrovarlo agonizzante e con segni evidenti di sofferenza respiratoria è stato un educatore della struttura. Il soccorso del 118 è stato immediato, ma l’infezione polmonare che ne è seguita non ha lasciato scampo.
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Il PM aveva chiesto 9 mesi a testa: la decisione del giudice
Nel corso del processo, le difese hanno prodotto la documentazione con cui la coordinatrice aveva segnalato in modo formale e costante le necessità assistenziali del paziente.
Le istruzioni, nero su bianco, erano state impartite. Non solo: secondo i legali, la condotta delle due imputate è stata coerente con i protocolli in vigore. Nessun comportamento omissivo, nessun atto di negligenza.
Il pubblico ministero aveva chiesto nove mesi di reclusione per entrambe. Ma la sentenza ha ribaltato l’impostazione accusatoria.
Assoluzione piena: il fatto non sussiste.