Infermieri in sciopero e aumenti nel resto del mondo mentre l’Italia dorme

redazione 28/07/25

Mentre in Italia la mobilitazione infermieristica fatica a trovare spazio e voce, in altri Paesi i professionisti della salute alzano la testa e incrociano le braccia. Negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda, migliaia di infermieri e operatori sanitari stanno scioperando, o minacciano di farlo, per denunciare condizioni di lavoro sempre più insostenibili: carichi eccessivi, organici insufficienti, tagli, dimissioni e silenzio delle istituzioni. Vediamo insieme cosa succede nel resto del mondo libero.

Nuova Zelanda: sciopero nazionale degli infermieri

Oltre 36.000 infermieri, ostetriche e operatori sanitari neozelandesi hanno votato per uno sciopero generale di 24 ore previsto a fine luglio. I condizioni di lavoro insostenibili e carenze di organico, con relative implicazioni per la sicurezza delle cure.

I dirigenti riferiscono che molti membri riportano gravi problemi di staffing nei reparti e chiedono interventi urgenti. L’azienda sanitaria nazionale ha avviato nuovi negoziati nel tentativo di evitare l’interruzione dei servizi essenziali prevista per lo sciopero.

I sindacati neozelandesi ed oltre 36.000 tra infermieri, ostetriche e operatori sanitari in Nuova Zelanda hanno votato a favore di uno sciopero generale di 24 ore previsto per la fine di luglio. La protesta, sostenuta dai principali sindacati del settore, nasce da condizioni di lavoro ritenute ormai insostenibili e da una grave carenza di personale che compromette la sicurezza delle cure.

I rappresentanti sindacali riferiscono che molti iscritti segnalano reparti sotto organico e turni massacranti, chiedendo interventi urgenti per garantire standard minimi di assistenza.
Nel tentativo di scongiurare l’interruzione dei servizi essenziali, l’azienda sanitaria nazionale ha riaperto il tavolo negoziale.

I prossimi giorni saranno decisivi per evitare una paralisi che potrebbe avere ripercussioni su tutto il sistema sanitario pubblico.

USA: scioperi a macchia di leopardo

Negli USA le tensioni sindacali nel settore sanitario stanno generando una crescente ondata di scioperi (“strike”), promossi da numerose sigle sindacali. A differenza del contesto europeo, la struttura federale degli Stati Uniti e la frammentazione normativa tra Stato e Stato rendono rara un’organizzazione sindacale di massa a livello nazionale. Tuttavia, sono sempre più frequenti le mobilitazioni a livello di singole aziende sanitarie.

Lo scorso 25 luglio, in California, oltre 1.000 operatori sanitari – tra cui infermieri, tecnici di laboratorio e personale di radiologia – hanno incrociato le braccia presso l’azienda sanitaria universitaria locale per protestare contro il licenziamento di circa 200 colleghi e contro decisioni economiche giudicate irresponsabili. I servizi sono rimasti attivi grazie a personale esterno, ma la frattura tra vertici gestionali e assistenza clinica è emersa con chiarezza.

In questi stessi giorni, a Baltimora, le infermiere del sindacato National Nurses United hanno organizzato uno sciopero di 24 ore contro la carenza cronica di personale, l’aumento dei carichi di lavoro e i rischi per la sicurezza dei pazienti. Una realtà che risuona familiare anche nel nostro contesto italiano.

Durante la protesta, l’ospedale ha continuato a funzionare grazie al supporto di personale interinale, mentre circa il 30% degli infermieri ha aderito allo sciopero. Il sindacato denuncia un’ondata di dimissioni tra colleghe ormai esauste, turni massacranti e una gestione centrata sul profitto più che sulla qualità delle cure. “Cercano di risparmiare tagliando sul personale“, accusa un’infermiera.

Una collega di terapia intensiva, intervistata durante la mobilitazione, ha dichiarato: “Stiamo scioperando perché i pazienti non ricevono l’assistenza che meritano. Le decisioni sbagliate della direzione hanno creato una vera e propria crisi del personale. Durante le trattative abbiamo presentato diverse proposte per migliorare la sicurezza dei pazienti e del personale, ma non siamo stati ascoltati.

Le richieste sono chiare: assunzioni stabili, limiti al “floating” (lo spostamento coatto tra reparti) e staff adeguati per garantire cure sicure. La dirigenza ha dichiarato la volontà di negoziare, sottolineando però che il 70% del personale programmato non ha partecipato allo sciopero.

Eppure, in un contesto così delicato, un’adesione del 30% è tutto fuorché trascurabile. Un risultato che, se replicato anche solo per un giorno nel nostro SSN, basterebbe a far tremare le fondamenta della sanità pubblica italiana per molto tempo.

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NHS nel Regno Unito: aumento degli stipendi infermieri del 3,6%

Il Regno Unito ha stanziato un aumento salariale del 3,6% per gli infermieri del NHS. Il governo britannico ha confermato pertanto che gli infermieri del Servizio Sanitario Nazionale inglese riceveranno un aumento di stipendio del 3,6% per l’anno 2025/26, in linea con le raccomandazioni dell’Independent Pay Review Body dopo le agitazioni degli scorsi mesi (scioperi su tutto il territorio britannico da parte degli infermieri).

Parallelamente, il Ministero della Salute ha avviato con anticipo il nuovo round negoziale 2026/27, chiedendo ai comitati indipendenti di anticipare i tempi delle prossime deliberazioni salariali.

L’esecutivo intende evitare i ritardi nelle trattative osservati negli anni passati e mostrare maggiore attenzione verso il personale sanitario, dopo che nel 2024 le vertenze sindacali (guidate anche dal Royal College of Nursing) avevano portato a scioperi e proteste per gli stipendi stagnanti.

Dimostrando come, nel resto del mondo, gli scioperi e il supporto delle istituzioni infermieristiche ( e da ammettere che il RCN ha funzioni sindacali a dispetto della FNOPI che invece è prettamente istituzionale), possano portare a piccoli, seppur importanti, risultati.

Fonti: nursinginpractice.com ; cbsnews.com ; newstalkzb.co.nz

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