Gelli e Mangiacavalli a confronto su Radio Uno: “età media degli infermieri aumenta di sei mesi ogni anno”

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Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi, e Federico Gelli, deputato PD e firmatario della legge 24/2017 sulla responsabilità Professionale del personale sanitario a margine di una intervista radiofonica su radio uno, danno vita ad un interessante panoramica sugli aspetti più delicati della vicenda sanitaria italiana: età media degli infermieri e difficoltà ad accedere al servizio sanitario pubblico.

Mangiacavalli: “età media degli infermieri aumenta di sei mesi ogni anno”

Molti i temi trattati dai due, in particolare la presidente Ipasvi, Mangiacavalli ha evidenziato i punti critici del nostro sistema ponendo l’accento sul lungo periodo di difficoltà incontrato dal SSN durante la crisi economica e sul netto aumento dell’età media degli infermieri negli ultimi anni (48 anni al momento a fronte dei 41 di una decina di anni fa), oltre che sul blocco dei turnover e delle assunzioni:

Stiamo affrontando un periodo difficile e un tema complesso le cui soluzioni sono difficili da trovare, il SSN è parte integrante della pubblica amministrazione e come tutta la P.A da circa un decennio è assoggettata a tutta una serie di controlli e contingentamenti legati ad una crisi economica senza tempo, questo ha comportato una serie di ricadute, blocco del turnover, blocco delle assunzioni, aumento dell’età pensionabile, modifiche organizzative. Abbiamo una legge la n° 161, in recepimento della normativa europea che ancora è applicata a macchia di leopardo in molte realtà sanitarie. I professionisti della sanità vivono in maniera pesante tutti questi provvedimenti, l’età media aumenta di sei mesi ogni anno, vuol dire che non entrano i giovani. Nel settore pubblico l’eta media sfiora i 48 anni all’inizio della crisi economica si attestava intorno ai 41 anni, per la tipologia di lavoro questo è un dato significativo. la percentuale di personale straniero è particolarmente rilevante nelle strutture private, il fatto che il settore pubblico abbia quale strumento di accesso il concorso e la necessaria titolarità della cittadinanza italiana o europea. Rispetto all’inquadramento c’è un contratto nazionale pubblico, diverso è il discorso quando si acquisisce personale per esigenze straordinarie con modalità diverse tipo la somministrazione del lavoro o outsourcing“.

Anche le tematiche inerenti alle possibili risorse (10 miliardi di euro) recuperate grazie alla nuova legge che dovrebbe scongiurare il ricorso alle pratiche della c.d medicina difensiva e la questione riguardante la spesa privata dei cittadini sono state al centro di un interessante dialogo. In particolare il deputato Federico Gelli, non ha mancato di evidenziare le difficoltà degli italiani che non sono in grado di accedere al sistema pubblico.Entra nel dettaglio l’esponente PD, affermando che nel nostro paese una fetta di popolazione che si aggira intorno agli 11 milioni di persone non è in grado di accedere al servizio sanitario pubblico per tutta una serie di motivi attinenti o allo scarso reddito o alle lungaggini del sistema nel suo complesso.   

Una nuova alleanza tra medico e paziente ha preso vita grazie all’avvento della nuova legge. La medicina difensiva e il conseguente ricorso esasperato ai procedimenti di carattere giudiziario, ha tolto negli ultimi anni risorse fondamentali ( una decina di miliardi) affinché avesse luogo la crescita organica di tutto il sistema; con l’approvazione della nuova legge si è scongiurata la possibilità che tali risorse venissero ulteriormente sprecate, investimenti che al contrario adesso possono essere utilizzati per il nostro SSN. Per ciò che attiene alla spesa aggiuntiva privata bisogna prendere in considerazione che al momento, in Italia,  undici milioni di persone hanno difficoltà ad accedere al sistema sanitario, sono persone con un reddito molto basso, o che delle volte a causa di liste d’attesa delle volte lunghissime o avendo difficoltà ad accedere al servizio pubblico preferiscono tirare di tasca propria le risorse necessarie per farsi curare, le somme sono di circa 34 miliardi di euro complessivi  che si pagano alla sanità privata. Bisogna ripensare al SSN, mantenendo la centralità del servizio pubblico cercando di eliminare però le differenze tra le regioni. Noi in questo momento abbiamo 21 modelli sanitari differenti, con delle distanze qualitative del servizio offerto tra nord e sud del paese che permangono, costringendo una buona fetta della popolazione a migrare in cerca di soluzioni sanitarie migliori in veri e propri viaggi della speranza. Ecco perché bisogna ripensare al Servizio Sanitario Italiano”

 

Martino Di Caudo

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