Stefano Argenio, infermiere italiano, racconta le torture subite durante una missione umanitaria verso Gaza in un video postato su Youtube. Arrestato con altri operatori sanitari, ha vissuto detenzione, umiliazioni e violenze in carceri israeliane. Una testimonianza scioccante.
La Flotilla di sanitari fermata in acque internazionali
L’intervista è stata pubblicata da Alanews su YouTube, e abbiamo scelto di condividere alcuni stralci del racconto di Stefano Argenio, infermiere e collega italiano che ha affrontato i soldati israeliani durante il periodo di massima tensione legato alla situazione palestinese, nell’ambito della missione Freedom Flotilla, insieme ad altri dieci italiani, tra cui anche medici, giornalisti, volontari e persino un monaco buddhista.
Dopo il controverso sequestro della Global Sumud Flotilla in acque internazionali, con arresti e maltrattamenti, una seconda missione è sembrata a tutti un atto di enorme coraggio.
Eppure, la speranza era che, essendo composta da operatori sanitari teoricamente protetti dal diritto internazionale, i partecipanti non dovessero subire arresti.
E invece, i maltrattamenti e le vere e proprie torture raccontate dall’infermiere durante il periodo di detenzione, in carceri fatiscenti e disumanizzanti, fanno rapidamente capolino nell’orrore di questa vicenda.
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L’esperienza dell’infermiere italiano torturato dai soldati israeliani
Nel video disponibile qui sotto, l’infermiere italiano Stefano Argenio, torturato dai soldati israeliani, racconta l’orrore vissuto in prima persona: dall’abbordaggio illegale in acque internazionali ed eseguito, come lui stesso riferisce, “in maniera molto brutale”, fino ai giorni di detenzione nelle carceri israeliane, segnati da continue umiliazioni fisiche e psicologiche.
“La sensazione era proprio quella che volessero infliggerci un dolore fisico che ci saremmo dovuti ricordare”, conferma Argenio.
Dal suo racconto emerge l’impressione che i soldati si comportassero come se avessero arrestato una banda di pirati (non che qualcuno possa meritarsi un trattamento disumano) simile), piuttosto che un gruppo di operatori sanitari.
Eppure, almeno in teoria, questi ultimi dovrebbero essere tutelati dalla Convenzione di Ginevra.
La testimonianza di Argenio, invece, denuncia un trattamento ignobile, lesivo della dignità umana: “Se una persona, ragionevolmente, dopo qualche minuto iniziava a oscillare perché la posizione era molto dolorosa, era una ragione sufficiente per essere colpita con un calcio, uno schiaffo… per essere rimessa nella posizione che loro volevano.”
Nessun trattamento di favore è stato riservato neanche a donne o anziani: “Ci hanno ammanettato, bendato, schiaffeggiato. Alle ragazze venivano spesso tirati i capelli e minacciavano di strapparle i piercing.”.
Uno degli episodi più agghiaccianti riguarda una donna francese di 82 anni: “Probabilmente, quella che ha subito il trattamento peggiore è stata lei. Soffriva molto per il dolore, stava piangendo. Alla fine hanno chiamato un’ambulanza. Quando era lì, la guardia carceraria che la stava ascoltando le ha sferrato dei pugni sulla pancia e sul petto.”
Infine, gli insulti ricevuti durante la detenzione evidenziano un clima di odio razziale: “Ci dicevano: ‘Voi italiani: pizza, mandolino e mafia. Siete tutti mafiosi.’”
I trattamenti illegali nelle carceri israeliane
Gli operatori denunciano trattamenti disumani nelle carceri israeliane. Le donne, forse, sono state trattate ancora peggio. Anzi, senza forse: sono state trattate peggio.
Durante la detenzione, nelle celle da cinque o otto posti venivano stipate fino a quindici persone. Molte delle nostre compagne hanno dormito per terra, in condizioni igienico-sanitarie pessime: niente lenzuola, solo coperte sporche e materassi maleodoranti, con insetti ovunque e un pavimento sudicio. Per 48 ore non è stata fornita acqua.
Gli operatori sanitari sono stati costretti a un’umiliazione ulteriore, come racconta: “Abbiamo bevuto l’acqua dei servizi igienici del bagno. Anche quella era parte della tortura, dell’umiliazione: un’acqua imbevibile, con un forte sapore di metallo e varichina.”
E poi la domanda che rimane sospesa, e che dà la misura della gravità: “E questo è quello che abbiamo vissuto noi, europei, bianchi, col passaporto giusto. Cosa può succedere, allora, a chi non ha il colore della pelle giusto?”.
Ora che tutti gli operatori italiani sono tornati al calore delle proprie famiglie, possiamo tirare un sospiro di sollievo. Ma non possiamo permetterci di abbassare l’attenzione: migliaia di persone, in quelle stesse carceri, vivono ancora trattamenti presumibilmente peggiori.
Come infermieri, garanti della salute oltre ogni discriminazione di età, sesso, colore della pelle o religione, abbiamo il dovere morale e professionale di non restare in silenzio.
Anche noi dobbiamo fare la nostra parte per impedire che queste torture continuino.
Non arrendiamoci all’impotenza. La prima ondata di manifestazioni è riuscita a smuovere l’opinione pubblica, a fermare, almeno in parte, l’orrore del genocidio.
Adesso è il momento di continuare a parlare, continuare a indignarci. Anche questo fa parte della nostra responsabilità.
Accogliamo la motivazione che ha spinto l’infermiere Stefano Argenio, e tutte le altre persone a partire, nonostante sapesse bene a cosa andava incontro. Una motivazione semplice, ma potentissima: “Stare dalla parte giusta della Storia.”
Autore: Dario Tobruk (seguimi anche su Linkedin – Facebook – Instagram – Threads)
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