Privacy? Macché, “è come se facessimo i prelievi in coda alle poste”

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Prelievi ematici eseguiti con le porte spalancate, senza paratie a dividere i pazienti e con decine di persone in fila ad aspettare il proprio turno che sbirciano all’interno. Altro che privacy!

Privacy, questa sconosciuta

Sarebbe questa la situazione vissuta quotidianamente dai malati oncologici presso il centro prelievi situato al primo piano dell’ospedale San Martino di Genova, almeno secondo la denuncia di una diretta interessata all’Agenzia Dire: “I prelievi vengono fatti in una stanza, quattro persone alla volta, senza alcuna tendina o paratia, con la porta aperta sul corridoio dove si accalcano tutte le altre persone in attesa.

Vado ogni mese a fare un prelievo, ogni mese chiedo che almeno venga chiusa la porta, ma mi viene risposto di no. Mi dicono che la porta deve rimanere aperta per consentire agli addetti del reparto di controllare anche il corridoio. Allora, ogni volta, faccio un reclamo all’ospedale”.

L’ospedale: “È un open space”

Ma la direzione del nosocomio conferma la versione del personale: “La sala prelievi è stata progettata e costruita come un open space, dove sono state previste più postazioni non separate.

Abbiamo fatto richiesta agli uffici competenti di valutare la possibilità di ampliarla e ridistribuire le postazioni di prelievo e installazione di sistemi divisori atti a garantire la privacy di ogni paziente durante il prelievo  durante l’attività, la porta rimane aperta per permettere una più agevole entrata e uscita dei pazienti e agli operatori di controllare l’arrivo dei pazienti chiamati e sorvegliare il corridoio”.

Eppure al piano di sotto (zero), dove si rivolgono i pazienti per le analisi di controllo, le prestazioni vengono erogate una persona alla volta e con le porte chiuse.

In coda alle poste

“Siamo pazienti con esenzione ’048’, ma è come se facessimo il prelievo in coda alle poste: credo ci siano gli estremi per un intervento del garante della privacy” ribadisce amaramente la donna. 

Che conclude, ricordando la testimonianza inquietante di una professionista sanitaria: “L’ultima volta, dopo l’ennesima richiesta, sono riuscita a fare il prelievo in una stanza separata, al chiuso perché ho trovato un’infermiera sensibile e disponibile.

Mi ha detto che anche lei ha sollevato il problema all’ospedale, ma si è sentita rispondere di stare zitta, altrimenti tutti i pazienti avrebbero voluto fare il prelievo in un luogo separato e sarebbe stato un bel problema”.

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Alessio Biondino

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