È stato canonizzato ieri l’infermiere ‘santo’ Artemide Zatti

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Più gli infermieri cercano di divulgare informazioni appropriate sulla loro figura professionale e di distaccarsi quanto più possibile dai vecchi stereotipi che legano la loro professione al passato… e più i media contrattaccano, proponendo notizie e titoli che contribuiscono a mantenere la denominazione “infermiere” ben adesa a termini e situazioni confondenti.

Rispolverando lo stereotipo della ‘vocazione’

Non c’è alcun complotto in tutto questo, ne siamo fermamente convinti. E va detto che se ci si mettono anche gli ex infermieri a presentarsi alla gente come manovali factotum (VEDI articolo: Giacomo Poretti e il suo spettacolo: “Scopa e pappagallo, amici fidati dell’infermiere”), è veramente difficile mettere alla gogna il giornalista o la testata di turno ogni qualvolta la denominazione in oggetto viene accostata a qualcosa di inappropriato o di evitabile.

Ma non sembrano esserci mai delle pause e ciò è un problema, perché i cittadini vengono costantemente bombardati da informazioni sbagliate o da accostamenti fuorvianti, anche se in buona ‘fede’. Ed ecco che tra crocerossine che vengono chiamate in continuazione Infermiere, altre figure professionali che si ubriacano sul posto di lavoro e vengono descritte (a torto) come infermiere (VEDI), infermieri ladri che poi infermieri non sono (VEDI), ma soprattutto dopo gli infermieri “eroi” e “angeli” della pandemia, è arrivato anche l’infermiere “santo”.

Chi era Artemide Zatti

Già perché ieri in Vaticano, nell’aula Paolo VI e al cospetto di Papa Francesco, ha avuto luogo la canonizzazione del reggiano Artemide Zatti, vissuto tra fine ‘800 e l’inizio del secolo scorso.

Emigrato in Argentina all’età di 17 anni insieme alla famiglia, si innamorò di Don Bosco e diventò un salesiano. Dopo pochi anni, scoprì la sua vera vocazione: dedicarsi tutto ai malati, assumendo la responsabilità dell’ospedale avviato dai salesiani (che lui rifonderà) e poi anche della farmacia, diplomandosi farmacista e infermiere.

Accostamenti fuorvianti

Evviva Artemide Zatti, quindi. E evviva il suo inestimabile contributo a favore dei pazienti. Ma ecco che, ancora oggi, inevitabilmente, visto anche ciò che sta vivendo la categoria in questione (VEDI), non si può non storcere il naso davanti a quel dannato accostamento del termine infermiere ad altri come vocazione, missione, carità, bontà, cristianità e fede e addirittura… Santità.

La questione “denominazione”

Tutta roba, questa, che non c’entra un fico secco con ciò che dovrebbe essere l’infermieristica dopo 30 anni di conquiste e di battaglie e che, purtroppo, sembra essere indissolubilmente incatenata alla nostra denominazione.

Sarà che forse, nel lontano 1994, quando è nato (almeno in teoria) l’infermiere moderno, sarebbe stato opportuno cambiare anche il ‘nome’ così da effettuare un taglio netto col passato? Ormai è tardi anche solo per immaginarlo, certo, ma la domanda sorge comunque spontanea: qualora 28 anni fa si fosse optato per la creazione di qualcosa di totalmente nuovo (denominazione inclusa), oggi il processo di riconoscimento sociale dell’infermiere a che punto sarebbe?

Giacomo Poretti e il suo spettacolo: “Scopa e pappagallo, amici fidati dell’infermiere”

Alessio Biondino

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