Carenza infermieri, Nursing Up: “Contro il virus, come soldati nudi e in trincea”

In una nota del sindacato degli infermieri Nursing Up, relativa al recente vagito del Direttore Generale del Censis Massimiliano Valerii, il presidente nazionale Antonio De Palma ha voluto ribadire l’atavica posizione del suo sindacato circa la carenza di infermieri in Italia.

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In una nota del sindacato degli infermieri Nursing Up, relativa al recente vagito del Direttore Generale del Censis Massimiliano Valerii, il presidente nazionale Antonio De Palma ha voluto ribadire l’atavica posizione del suo sindacato circa la carenza di infermieri in Italia.

Il recente vagito di Valerii (Censis)

Servono 58mila medici e 72mila infermieri per la sanità del futuro”. È così che il , intervenuto alla presentazione del progetto ‘I Cantieri per la sanità del futuro’ (promosso da Censis in collaborazione con Janssen Italia), ha concluso l’esposizione del suo punto di vista circa la penuria di personale sanitario in Italia.

Un intervento volto ad evidenziare come la pandemia, in Italia, non sia stata altro che “uno straordinario fattore di accelerazione di fenomeni preesistenti e in atto”, che hanno finito per “squarciare il velo sulle nostre fragilità strutturali”. Fragilità che, nonostante vi sia stata una pausa piuttosto rigenerante tra la prima ondata dell’infezione e le successive, ha purtroppo messo di nuovo in ginocchio il nostro SSN.

La nota di De Palma: “Necessaria una riforma del SSN”

“Il recente intervento del Direttore Generale del Censis, Massimiliano Valerii, non fa altro che confermare quanto il nostro sindacato denuncia da mesi in merito alle cifre allarmanti che riguardano la carenza di infermieri nel nostro sistema sanitario nazionale.

Il Censis ci ha presentato una attenta e veritiera analisi sulla indispensabile necessità di riforma del nostro SSN, oggi profondamente vessato e messo a ferro e fuoco dall’emergenza pandemica, e che già prima della doppia ondata del virus, presentava un quadro di profondo disagio causato da pessime gestioni, tra mancati investimenti e tagli di spesa.

Il Covid, con l’aumento esponenziale dei ricoveri, e la palese incapacità, da parte di strutture talvolta vetuste e inadeguate, di affrontare l’impatto con un nemico agguerrito e per lo più nei primi tempi totalmente sconosciuto alla scienza, non ha fatto altro che mettere a nudo carenze che qualcuno spudoratamente ignorava.

Ma ciò che era nascosto sotto la cenere è ahimè emerso. Ci siamo presentati al cospetto del virus con una lacerazione strutturale già profonda di 53mila infermieri mancanti in tutta Italia (dati Fnopi 2019). Noi già lo scorso autunno quantificammo però in 85-90 mila la carenza di professionisti della sanità e oggi, leggendo i dati dell’indagine del Censis, tutto questo ci viene amaramente confermato.”

“Mancano 72.000 infermieri in Italia”

“Tra la prima e la seconda ondata non abbiamo in alcun modo provveduto a rinforzare gli organici sanitari, tra assunzioni con il contagocce che non compensano certo anni ed anni di blocco del turn over e realtà concorsuali ferme al palo, tranne qualche rara eccezione.

Disorganizzazione, turni massacranti, situazioni di precariato in ogni dove: abbiamo affrontato così il virus, lasciando ‘nudi in trincea’ i nostri soldati.

Ad oggi il Censis, a oltre un anno dall’inizio della pandemia, quantifica in 72mila i numeri relativi alla mancanza di infermieri in Italia. I dati alla fine combaciano con i nostri: perché a questi 72mila dobbiamo aggiungere i 9600 infermieri di famiglia, previsti dal Decreto Rilancio, che il Governo avrebbe dovuto assumere ma che sono rimasti per ora pura teoria, 8 ogni 50mila abitanti, che però potrebbero non essere sufficienti alla indispensabile riforma della sanità territoriale, e una media di circa 3500-4000 unità in più di infermieri derivanti dal fabbisogno dei nuovi posti di terapia intensiva aperti per fronteggiare l’emergenza. Sono le contraddizioni del nostro Paese: si aprono nuovi reparti ma manca il personale per supportare i malati.”

Cronicità e dintorni

Nei libri di storia, leggeremo: “Nella prima parte del XXI secolo, la costante connessione caratterizzò la vita di tutti. Ma nei primi mesi del 2020…”. La probabile verità è che fino a oggi l’impegno a globalizzare tutti gli aspetti della nostra vita aveva scongiurato la potenziale presenza di uno stress per un evento globale,rischiandolo solo in alcuni casi sanitari oppure per incidenti nucleari o terremoti, senza tuttavia mai incrociarlo. La pandemia da Covid-19 ha modificato questo quadro costruito in un trentennio di progressive aperture delle frontiere e al commercio di beni e servizi, con un primo vero test che sta risultando catastrofico per tutto il globo, con l’Italia in prima linea. Veniamo da anni in cui la spesa sanitaria è stata complessivamente crescente, ma soprattutto è stata in gran parte determinata dalla classe di pazienti affetti da patologie croniche. Viviamo più a lungo, viviamo probabilmente meglio della generazione precedente in termini di salute, ma questo benessere richiede oggi servizi sanitari e socio-sanitari che dovrebbero essere erogati in modo diverso, per numerosità ma anche per complessità.  È il famoso spostamento del baricentro di cura, tema organizzativo individuato da anni senza ricadute programmatorie. E poi è arrivato anche il Covid. Nel periodo di crisi più nero dal secondo dopoguerra, il Servizio Sanitario Nazionale – ed in particolare quello lombardo ma anche di altre Regioni – è stato messo sotto una pressione che ha rischiato di far collassare l’intero Paese. Ora appare chiaro che il Welfare attuale dovrà cambiare per tenere in futuro un ritmo dato da un’emergenza sanitaria che prima non esisteva. Un rapido adattamento è assolutamente necessario. Nelle situazioni di emergenza le pecche organizzative vengono evidenziate molto più rispetto alle condizioni di lavoro normale, ove la buona volontà degli operatori tende a coprire le falle. L’inevitabile confusione che nascerà nel prossimo periodo non dovrà quindi far perdere di vista l’obiettivo per l’assistenza ai pazienti affetti da patologie croniche, ovvero monitoraggio, supporto al paziente, visione olistica. Se l’obiettivo è salvare il Servizio Sanitario Nazionale come patrimonio del nostro Paese, la sfida è decisiva.

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“Indispensabile rafforzare la sanità territoriale”

“La riforma sanitaria, quella che il riconfermato Ministro Speranza auspica di mettere in atto, deve passare attraverso l’indispensabile rafforzamento della sanità territoriale.

9600 infermieri di famiglia rappresentano solo la punta dell’iceberg rispetto alle necessità di un paese che con questa indispensabile figura già da tempo avrebbe potuto snellire i ricoveri e offrire supporto alla sanità delle Regioni, fuori dalle realtà ospedaliere, ben prima che questo Covid ci lasciasse cicatrici profonde non ancora rimarginate. 

Perché mentre attendiamo speranzosi l’immunità di massa per tornare a vivere, diamo pieno riscontro al Censis: sanità territoriale e prevenzione sono il percorso obbligato da compiere rispetto a una fragilità strutturale del nostro sistema che non possiamo permetterci di far acuire, alla luce dell’invecchiamento della popolazione, tra anziani e malati cronici.”

“L’infermiere è l’asse portante del nostro sistema”

“La figura dell’infermiere continua e continuerà a essere l’asse portante del nostro sistema e il cambiamento passa attraverso, inevitabilmente, la valorizzazione di una professione che rappresenta una reale priorità, e che non può essere lasciata da parte. Occorre avvicinare sempre di più i giovani all’infermieristica: dai corsi di laurea confidiamo di avere il giusto ricambio generazionale, dal rinnovo contrattuale, da qui a breve, speriamo di ricevere quei riconoscimenti che meritiamo per un futuro più dignitoso. Il nostro dovere sul campo continueremo a farlo, mentre ad una politica sanitaria coerente spetta il compito di tutelare chi ogni giorno combatte per la salute dei cittadini”.

Autore: Alessio Biondino

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Alessio Biondino

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