“Ci sono pazienti a cui lavi anche i panni”: le testimonianze degli infermieri nella campagna per migliorare l’attrattività della professione


La nuova campagna voluta dall’Opi di Grosseto per provare a migliorare l’attrattività della professione infermieristica (VEDI articolo “Ho scelto di essere infermiere”, ecco lo slogan dell’Opi per migliorare l’attrattività della professione) sta entrando nel vivo, con una serie di testimonianze, pubblicate dai media locali, volte a convincere i giovani a iscriversi al CdL in oggetto.


Su Maremma Oggi, in un articolo dal titolo assai accattivante che vuole raccontare ai cittadini le emozioni di un “mestiere” (VEDI), è intervenuta anche la collega Luciana, che ha raccontato con emozione il suo percorso professionale. Già, perché accompagnare il paziente alla fine della sua vita, non è mai semplice…


«Anche noi infermieri, che abbiamo una formazione specifica – spiega l’infermiera –si rischia di partire per la tangente. Ma svolgendo questo lavoro, impariamo tanto anche su di noi. E ci dà anche una gratificazione che non ho mai trovato negli altri reparti».


Già, perché nel reparto di Leniterapia dove lavora Luciana ci si emoziona facilmente. Ma ci sono solo sei posti letto: «Ne servirebbero molti di più, anche perché è un servizio che viene richiesto sempre più spesso. Fortunatamente affidarsi alle cure palliative è entrato oramai a far parte della nostra cultura».


La collega spiega come ogni morte, nella sua unità, in qualche modo ti segna per sempre: «Soprattutto quando capita che siano ricoverati degli amici o quando ci sono persone molto giovani. Mi commuovo sempre e mi lego alle persone che non hanno nessuno, che vengono qua da noi e che sanno di andarsene da soli. Sono i pazienti ai quali lavi anche i panni. Ma si crea un legame personale che ti arricchisce e ti fa amare, ogni giorno, il tuo lavoro».


Trattasi di testimonianze profonde e meravigliose, certo. Ma, riflettendo sull’obiettivo della campagna di cui sopra, rinnoviamo il nostro dubbio: siamo davvero sicuri che raccontare ai cittadini di “mestiere”, dolore, fine vita, morte, commozioni, ceste di verdura (VEDI articolo “Una paziente mi donò ceste di verdura”: le testimonianze degli infermieri nella campagna per migliorare l’attrattività della professione) e di lavare i panni ai pazienti, possa in qualche modo convincere i giovani a intraprendere un percorso che rimane comunque avaro di soddisfazioni economiche, di riconoscimento sociale e di sbocchi professionali accettabili?

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Alessio Biondino

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