Ritira il farmaco sbagliato dall’armadio elettronico e uccide la paziente

Dario Tobruk 28/03/22
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Il caso della collega statunitense RaDonda Vaught incarna l’incubo di tutti gli infermieri. Un sistema che non funziona, il ritiro e la somministrazione del farmaco sbagliato dall’armadio elettronico e il decesso della paziente. Ora rischia la prigione.

Il caso giudiziario che sta tenendo tutti gli infermieri americani con il fiato sospeso è frutto di un errore che potrebbe capitare a chiunque di noi.

Ritira il farmaco sottovalutando l’ennesimo “alert” e uccide la paziente

Quattro anni fa, in un ospedale del Tennessee, la collega Vaught ha ritirato una fiala da un armadietto dei farmaci elettronico – un sistema ancora oggi all’avanguardia da noi in Italia, e che, teoricamente, dovrebbe evitare proprio errori simili – sottovalutando i segnali di un errore mortale.

La paziente avrebbe dovuto fare un esame all’interno di una grande macchina simile a quello della risonanza magnetica e per aiutarla a calmarsi i medici le avevano prescritto il “Versed”, il nome commerciale del midazolam, un farmaco ipnotico usato in situazioni come questa.

Sciaguratamente, l’infermiera invece del midazolam, ha ritirato il vecuronio offertole dall’armadio senza verificarlo affatto: un potente miorilassante che, se somministrato senza ventilazione assistita, provoca asfissia. Episodio che in effetti ha portato alla morte cerebrale la sfortunata paziente.


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Com’è potuto succedere? La ricostruzione dell’errore

Secondo la ricostruzione del quotidiano americano DailyNurse.com, l’errore è dovuto a stanchezza, distrazione e alle falle di un sistema di allerta che non ha funzionato.

In base ai documenti che ricostruiscono l’episodio, la Vaught avrebbe dovuto ritirare una fiala di midazolam dall’armadio elettronico dei farmaci tramite un sistema elettronico che restituisce un elenco di farmaci digitandone il nome a partire da poche lettere. Come quando si cerca un film su Netflix.

La collega però, invece di cercare il farmaco rintracciando il principio attivo, ha digitato le due prime lettere “VE” del nome commerciale (Versed), forzando il sistema con un “override” un forzamento della procedura per arrivare a ritirare i farmaci. L’armadio elettronico, però, invece di indicarle il Versed come lei pensava, le ha presentato l’opzione di ritirare il “vecuronio”, il potente paralizzante.

Per completezza di informazione è da rendere noto che prima di offrirle la fiala, il sistema ha fatto diverse segnalazioni, tentando di avvisarla del pericolo. Avvisi tutti ignorati dall’infermiera perché la disattivazione di questi allarmi era ormai una prassi consolidata, pur di continuare a lavorare.

Secondo le dichiarazioni dell’accusata, infatti, per una normale terapia i pop-up di pericolo arrivavano fino a venti. Ciò ha comportato ad un evidente assuefazione agli allarmi, portando l’infermiera a non prendere nemmeno lontanamente in considerazione l’unico alert che invece avrebbe salvato la vita alla paziente.

Il caso è arrivato in tribunale: l’accusa contesta che l’infermiera non abbia nemmeno riconosciuto e verificato il farmaco prima di somministrarlo, soprattutto in ragione del fatto che il midazolam è liquido mentre il miorilassante è una polvere da ricostituire e che la fiala presenta una scritta con soprascritto “Attenzione: agente paralizzante“. Un’impianto di accusa difficile da controbattere.

Il caso giudiziario e l’accusa di omicidio

Gli infermieri statunitensi non sono abituati, a differenza di noi italiani, a considerare i loro errori medici come una possibilità di finire in carcere: il loro sistema prevede nella maggior parte dei casi procedimenti civili e ritiro della licenza e solo raramente si rischia il penale. Per questo motivo l’intera comunità infermieristica statunitense è allarmata da questo processo, in quanto rappresenta un’evoluzione legale del loro paese.

La 38enne Vaught ha ammesso il suo errore in un’udienza disciplinare riferendo di essere stata distratta da un tirocinante mentre gestiva l’armadietto dei farmaci computerizzato.

Non si è sottratta alla responsabilità dell’errore, ma ha detto che la colpa non era solo sua: “So che il motivo per cui questo paziente non è più qui è a causa mia“, ha detto Vaught, iniziando a piangere, “Non passerà mai un giorno in cui non penso a quello che ho fatto.“. La collega sta affrontando il processo proprio in questi giorni. Il rischio è di essere giudicata colpevole di omicidio e per questo finire in prigione.

Può capitare a tutti

In casi come questi è comune per noi infermieri dividerci in due fronti: quelli che presumono che non farebbero mai un errore simile e quelli che invece sanno che potrebbe succedere anche a loro, in qualsiasi momento della giornata e che non importa quanto siano attenti, l’errore è sempre dietro l’angolo.

Tutti noi potremmo trovarci nei panni di RaDonda, la collega che stanca e distratta ha disattivato il proprio spirito di precauzione e ha fatto un errore fatale uccidendo una paziente.

Che questa storia possa insegnare a ognuno di noi a non abbassare mai la guardia e a segnalare, battere i piedi, persino buttare giù le porte della dirigenza, pur di riuscire a lavorare in piena sicurezza.

Perché come troppo spesso ci accorgiamo, nel nostro lavoro anche un piccolo errore comporta enormi conseguenze.

Fonte: DailyNurse.com

Autore: Dario Tobruk 

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