Fascicolo Sanitario Elettronico: quasi la metà è inaccessibile

redazione 11/07/25

In un sistema sanitario che punta sempre più sulla digitalizzazione, il Fascicolo Sanitario Elettronico dovrebbe essere il primo alleato di medici e infermieri.

Eppure, troppe volte resta un’opportunità sprecata. In questo articolo, vediamo perché il mancato utilizzo del FSE non è solo un problema burocratico, ma una questione di sicurezza, soprattutto quando il paziente non può parlare o ricordare.

Fascicolo sanitario elettronico: utile. Se solo fosse accessibile!

Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) dovrebbe essere uno strumento chiave per garantire la sicurezza e la continuità delle cure, soprattutto in situazioni d’urgenza.

Immaginiamo di trovarci fuori regione, dove nessuno ci conosce, e di farci male a una gamba. Il FSE aiuterebbe gli infermieri del pronto soccorso, i medici prescrittori e tutti gli altri operatori sanitari a sapere, ad esempio, che un certo farmaco X non è adatto a noi, perché siamo allergici.

E magari ce ne dimentichiamo perché ci fa male la gamba, il dolore ci distrae, il nostro parente è distratto dal nostro dolore e lamento, e nessun operatore viene così informato.

Così succede che il medico prescrive il farmaco X, l’infermiere lo somministra, il paziente chiede cosa gli stiano iniettando e, a un certo punto, si ricorda: “Ma io sono allergico al farmaco X!“.

È solo un’esasperazione di un’ipotetica situazione, nella realtà questo non succede, ma se succede?

Per questo motivo è necessario dare la possibilità ai sanitari di accedere al Fascicolo Sanitario Elettronico, per rendere la vita più semplice agli operatori che ci stanno curando ed evitare che errori banali come quelli sulle allergie non capitino mai!

Tuttavia, come riportato da un articolo del Sole24Ore, la sua adozione è fortemente limitata: solo il 42% degli italiani ha acconsentito alla consultazione dei propri dati da parte di medici e infermieri. Questo rende di fatto inaccessibili informazioni cruciali, come allergie appunto, terapie salvavita o patologie croniche, nei momenti in cui contano di più.

La situazione in Italia

Il dato aggregato nasconde però marcate disuguaglianze regionali. Se in Emilia-Romagna il consenso sfiora il 92%, in regioni come Calabria, Molise e Campania si ferma a un misero 1%. Anche l’uso attivo del FSE è scarso: la media nazionale degli accessi negli ultimi 90 giorni è solo del 21%, con punte del 65% tra gli emiliani e di appena l’1% tra i marchigiani.

Questo cortocircuito burocratico si ripercuote sul lavoro dei sanitari: senza consenso, i dati restano visibili solo al paziente e al medico che li ha prodotti.

Nonostante la normativa consenta un accesso limitato in caso d’emergenza (come al “patient summary”), la sua effettiva utilità è oggi compromessa dal fatto che solo il 5% dei medici ha redatto questo documento.

Il risultato è un FSE potenziato sulla carta, ma spesso inutile nella pratica clinica.

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Cosa fare quindi?

Entro il 31 marzo 2026, tutte le strutture sanitarie saranno obbligate a caricare i dati nel FSE.

Ma senza il consenso del cittadino, questa mole di dati resterà invisibile.

Serve dunque un doppio intervento: formare i medici di famiglia a redigere i profili sintetici e comunicare in modo chiaro ai cittadini che il consenso non espone a rischi, ma aumenta la sicurezza delle cure. È questa non è un’esagerazione, è la verità: aiutiamo chi vuole aiutarci, diamo il consenso a medici e infermieri affinché possano accedere al nostro Fascicolo Sanitario.

Ne potrebbe andare della nostra salute.

redazione

Redazione di Dimensione Infermiere
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