La Francia si prepara a uno scenario estremo: trasformare i propri ospedali civili in strutture sanitarie militari capaci di accogliere migliaia di feriti in caso di guerra.
Una circolare congiunta dei ministeri della Salute e della Difesa impone una riflessione urgente anche sul sistema sanitario italiano e su cosa voglia dire questo per infermieri e professionisti sanitari italiani.
Indice
La Francia si prepara alla guerra
La Francia si prepara alla guerra. Il governo d’Oltralpe ha chiesto ai suoi ospedali di essere pronti, entro il prossimo marzo, con un piano di riconversione in ospedali militari per accogliere migliaia di soldati feriti.
La circolare, firmata congiuntamente dai ministri della Difesa e della Salute, prevede una programmazione sanitaria d’emergenza per uno scenario che non sembra più così irrealistico: un conflitto su territorio europeo.
Difficile restare ottimisti, del resto, di fronte a tanti fronti di guerra aperti: dalla devastazione di Gaza alla lunga trincea ucraino-russa, passando per la tensione commerciale — e geopolitica — tra USA e Cina, con Taiwan sempre al centro.
Non è passato inosservato nemmeno lo strano episodio che ha coinvolto Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea: pochi giorni fa, durante un volo, l’aereo su cui viaggiava ha perso il supporto GPS ed è stato costretto ad atterrare con l’ausilio di mappe analogiche.
Inizialmente si era parlato di interferenze russe, poi smentite dalla stessa Commissione. Secondo alcuni analisti, questa ritrattazione sarebbe dettata dalla volontà di non alimentare ulteriormente l’escalation con Mosca.
Gli infermieri e la capacità di monitorare il paziente
In un contesto sanitario sempre più complesso e tecnologicamente avanzato, è fondamentale restare aggiornati sulle pratiche di monitoraggio in area critica. Il manuale “Guida al monitoraggio in area critica”, edito da Maggioli Editore, offre una panoramica completa e pratica per acquisire competenze fondamentali nel monitoraggio dei parametri vitali e nell’interpretazione dei dati clinici, garantendo così un’assistenza infermieristica di alto livello.
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Guida al monitoraggio in Area Critica
Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area intensiva in cui opera.Non può esistere area critica senza monitoraggio intensivo, che non serve tanto per curare quanto per fornire indicazioni necessarie ad agevolare la decisione assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica, perché rilevando continuamente i dati si possono ridurre rischi o complicanze cliniche.Il monitoraggio intensivo, spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida formidabile per infermieri e medici nella cura dei loro malati. La letteratura conferma infatti che gli eventi avversi, persino il peggiore e infausto, l’arresto cardiocircolatorio, non sono improvvisi ma solitamente vengono preannunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore precedenti.Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità.Riconosciuto come fondamentale, in questo contesto, il ruolo dell’infermiere, per precisione, accuratezza, abilità nell’uso della strumentazione, conoscenza e interpretazione dei parametri rilevati, questo volume è rivolto al professionista esperto, che mette alla prova nelle sue conoscenze e aggiorna nel suo lavoro quotidiano, fornendo interessanti spunti di riflessione, ma anche al “novizio”, a cui permette di comprendere e di utilizzare al meglio le modalità di monitoraggio. A cura di:Gian Domenico Giusti, Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia in UTI (Unità di Terapia Intensiva). Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Master I livello in Infermieristica in anestesia e terapia intensiva. Professore a contratto Università degli Studi di Perugia. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.Maria Benetton, Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.
a cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton | Maggioli Editore 2015
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Il Piano di emergenza
Ritornando agli ospedali francesi, il piano prevede che ogni unità sia in grado “di accogliere fino a 100 pazienti al giorno per 60 giorni consecutivi su tutto il territorio”, con la possibilità di gestire persino “picchi di attività fino a 250 pazienti per 3 giorni consecutivi”.
Nello scenario peggiore, il sistema sanitario dovrebbe essere in grado di reggere un carico complessivo di 15.000 soldati feriti.
Parole di distensione arrivano dal Ministero della Salute, che invita a non interpretare la circolare come un segnale allarmistico.
Secondo quanto dichiarato, si tratterebbe semplicemente di “misure precauzionali di routine”, volte a evitare di trovarsi impreparati, come accaduto durante la crisi pandemica da Covid-19, quando un piano sistematico di emergenza avrebbe potuto cambiare radicalmente l’esito dell’impatto sanitario.
Cosa comporta il piano per infermieri e personale sanitario
Nel documento si sottolinea anche che il personale sanitario dovrà essere addestrato nel settore della medicina riabilitativa e pronto a operare “in un periodo di guerra segnato dalla scarsità di risorse e dall’aumento dei bisogni”, con un inevitabile incremento dei disturbi post-traumatici.
È inoltre prevista la possibilità di arruolamento nel Servizio Sanitario dell’Esercito, indipendentemente dalla specializzazione o dal settore d’origine.
La formazione clinica dovrà concentrarsi sulla gestione di ferite da combattimento, traumi complessi e su un cambio di paradigma operativo radicale, in cui il criterio prioritario non sarà più salvare vite, ma garantire assistenza a chi ha maggiori probabilità di sopravvivenza.
Una logica di triage bellico, in cui le decisioni cliniche sono guidate da una crudele aritmetica di risorse disponibili e danni compatibili con la vita. E a cui difficilmente un sanitario civile riuscirà ad uscire indenne se non adeguatamente preparato.
A questo punto la domanda è inevitabile: i sanitari italiani sono pronti a uno scenario simile?
E ancora: la mancanza di un piano equivalente in Italia è frutto di una scelta politica, oppure della convinzione (illusoria?) che il nostro territorio non verrà direttamente coinvolto da un eventuale conflitto su scala continentale?
Autore: Dario Tobruk (seguimi anche su Linkedin – Facebook – Instagram – Threads)
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