Gimbe: aumenta (di poco) la spesa sanitaria, ma continua l’emorragia di infermieri

Sara Sacco 17/04/25

«Si intravede una lieve crescita della spesa sanitaria, ma si tratta di stime previsionali che non modificano la sostanza: la quota di ricchezza nazionale destinata alla sanità, già insufficiente, resta invariata nei prossimi anni, confermando il cronico sottofinanziamento del Servizio Sanitario Nazionale». Così Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE, commenta i dati sulla spesa sanitaria contenuti nel Documento di Finanza Pubblica (DFP) approvato lo scorso 9 aprile dal Consiglio dei Ministri.

Entriamo nel dettaglio: il DFP 2025 certifica, per l’anno 2024, un rapporto spesa sanitaria/PIL pari al 6,3%, in lieve aumento rispetto al 2023 (+0,1 punti percentuali) con una spesa sanitaria che ammonta a € 138.335 milioni, in crescita del 4,9% rispetto ai € 131.842 milioni del 2023.

Nel 2025, il rapporto spesa sanitaria/PIL è stimato al 6,4%, in lieve aumento rispetto al 6,3% del 2024, con una spesa sanitaria di € 143.372 milioni, con un incremento di € 5.037 milioni (+3,6%) rispetto all’anno precedente. Per il biennio 2026-2027, a fronte di una crescita media annua del PIL nominale del 2,75%, il DFP 2025 prevede un incremento medio della spesa sanitaria del 2,85% l’anno, mantenendo invariato il rapporto spesa sanitaria/PIL al 6,4%.

«Il DFP 2025 – conclude il Presidente – conferma che, in linea con quanto accaduto negli ultimi 15 anni, la sanità pubblica continua a non rappresentare una priorità per il Paese, nonostante la grave crisi di sostenibilità del SSN e il progressivo sgretolamento del diritto alla tutela della salute. Alla luce delle stime al ribasso del PIL e del quadro macroeconomico, va riconosciuto all’Esecutivo il merito di aver scongiurato ulteriori e drammatici tagli alla spesa sanitaria. Tuttavia, nonostante l’incremento previsto in valore assoluto, il peso della sanità sul PIL resta inchiodato al 6,4% fino al 2028, lasciando il SSN largamente sottofinanziato».

Il paradosso per gli infermieri: ce n’è sempre più bisogno ma ce ne sono sempre meno

«A fronte di condizioni lavorative impegnative e spesso insostenibili – sottolinea Cartabellotta – gli stipendi degli infermieri restano tra i più bassi d’Europa, sia in termini assoluti, sia rispetto al costo della vita. Una condizione che rende la professione sempre meno attrattiva per le nuove generazioni». Nel 2022, la retribuzione annua lorda di un infermiere italiano era di $ 48.931 a parità di potere di acquisto, ben $ 9.463 in meno rispetto alla media OCSE ($ 58.394). In Europa, stipendi più bassi si registrano solo nei paesi dell’Europa dell’Est (Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Repubblica Slovacca, Lettonia e Lituania), oltre a Grecia e Portogallo (Figura 6).

Ancora più allarmante è il dato storico: dal 2001 al 2019 il salario degli infermieri italiani è diminuito dell’1,52%, un segnale inequivocabile di progressiva svalutazione professionale, a fronte di crescenti responsabilità e carichi di lavoro sempre più gravosi.

Guardando al futuro, è necessario invertire la rotta: il progressivo invecchiamento della popolazione italiana rappresenta un’imponente sfida assistenziale per il SSN e genera un aumento della domanda di infermieri. Nel 2024, gli over 65 rappresentavano il 24,3% della popolazione (14,4 milioni di persone) e gli over 80 il 7,7% (4,5 milioni di persone). Secondo le previsioni ISTAT, entro il 2050 gli over 65 saliranno al 34,5% (18,9 milioni di persone) e gli over 80 al 13,6% (7,5 milioni di persone) (Figura 9).

Questa trasformazione demografica si traduce in un aumento esponenziale dei bisogni assistenziali: secondo le indagini ISTAT, già nel 2023 oltre 11 milioni di over 65 convivono con almeno una malattia cronica e quasi 8 milioni presentano due o più patologie.

«Inevitabilmente – commenta Cartabellotta – il ruolo degli infermieri sarà sempre più centrale, non solo in ambito ospedaliero, ma soprattutto nell’assistenza territoriale e domiciliare, dove la gestione di cronicità e fragilità richiederà competenze avanzate, prossimità, continuità assistenziale e una presa in carico multidimensionale. Il rischio concreto è che, in assenza di una dotazione adeguata di personale, il crescente squilibrio tra bisogni e offerta finisca per vanificare gli investimenti del PNRR, che punta proprio sugli infermieri per la riorganizzazione dell’assistenza territoriale.

In assenza di un piano multifattoriale capace di restituire attrattività, dignità e prospettiva alla professione infermieristica – conclude Cartabellotta – assisteremo all’inesorabile indebolimento del SSN, che poggia sulle spalle del personale sanitario, in particolare su quelle degli infermieri, che numericamente rappresentano la quota più consistente».

Carenza infermieri entro il 2030 fino a 100.000 in meno Credit Foto Canva.com ver. Pro

Sara Sacco

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