Infermiere e doppio lavoro: quando è consentito e cosa si rischia

Come farsi autorizzare un secondo lavoro dalla propria azienda .

Il tema dell’infermiere e doppio lavoro è sempre più attuale, soprattutto in un contesto in cui la retribuzione e le condizioni contrattuali spesso non rispecchiano l’impegno richiesto dalla professione.

Molti infermieri dipendenti pubblici valutano la possibilità di affiancare un secondo lavoro per integrare il proprio reddito, ma la normativa prevede regole precise da rispettare per evitare sanzioni.

Quando è consentito all’infermiere svolgere un’attività extra? Quali rischi si corrono? Conviene approfittare dell’abolizione del vincolo? In questo articolo, analizziamo i limiti imposti dalla legge e le opportunità a disposizione degli infermieri che desiderano un’occupazione aggiuntiva.

Indice

Sono un infermiere e vorrei fare un doppio lavoro, posso?

La legge italiana permette all’infermiere dipendente pubblico un secondo lavoroma con tantissime restrizioni e particolarità.

In primo luogo, per chi vuole avere un doppio lavoro è necessario ottenere l’autorizzazione da parte del proprio dirigente amministrativo; in altre parole:
se sei un infermiere e svolgi la tua professione sulla base di un contratto a tempo pieno o un part-time nella Pubblica Amministrazione con orario superiore al 50%, l’unica soluzione è chiedere al tuo dirigente una specifica autorizzazione.

In base alla legge italiana: D.Lgs 165/2001 “ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi”.

Quali secondi lavori per infermieri non vengono considerati in conflitto di interessi?

In realtà ben pochi, considerando che la valutazione del dirigente amministrativo preposto ha carattere discrezionale e si basa su una valutazione della domanda fatta sul singolo caso. Lo stesso dirigente rigetterà, quindi, la richiesta di autorizzazione ogni qual volta avrà anche solo il sentore che la vostra attività lavorativa collaterale possa avere un carattere abituale, professionale o possa porsi in conflitto di interessi con la P.A di riferimento.

Tutto questo avviene in Italia sulla base del dettato Costituzionale (art.97buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione), principio che è stato recepito in varie disposizioni nazionali per le quali: l’autorizzazione per l’esercizio di attività in una P.A. diversa dalla propria o per l’esercizio di attività d’impresa o commerciale, può avvenire sempre e solo escludendo casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto.

È radicata nel nostro paese la mentalità per cui l’infermiere che eventualmente svolga un doppio lavoro, non sia in grado, per la ragione del cumulo di impieghi, di mantenere elevati o quantomeno sufficienti standard di performance lavorative.

Perché i medici si e gli infermieri no?

Risulta notevole lo squilibrio con la posizione dei medici che possono, anche se con le dovute precauzioni e nel rispetto dei parametri di legge, avere uno studio privato e svolgere in sostanza, sia dentro che fuori le mura della P.A di riferimento, il proprio secondo lavoro come medico senza che questo sollevi dubbi circa le loro capacità psico-attitudinali.

Si è soliti affermare che la possibilità del doppio lavoro per la classe medica rappresenti una modalità di aggiornamento scientifico e conoscitivo, ma anche in questo caso non risulta chiaro perché lo stesso non possa essere concesso agli infermieri; come se a questi ultimi non fosse richiesta la stessa cura e professionalità pur essendo a strettissimo rapporto con i pazienti.

Cosa rischia l’infermiere con doppio lavoro non autorizzato?

Le sanzioni disciplinari possono essere di diversa entità e variano in base all’ordinamento interno di ogni singola amministrazione. Il punto fermo è però rappresentato dal D.P.R n3/1957 che stabilisce: “ l’impiegato che contravvenga ai divieti imposti viene diffidato dal Ministro o dal direttore generale competente a cessare dalla situazione di incompatibilità. Decorsi quindici giorni dalla diffida, senza che l’incompatibilità sia cessata, l’impiegato decade dall’impiego”.

rischi sono quindi tantissimi e possono includere il danno erariale con la restituzione del denaro ricevuto nel periodo di svolgimento del doppio lavoro, fino ad arrivare al più grave licenziamento.

Cosa deve fare l’infermiere in caso di sanzioni disciplinari?

Per gli infermieri che si trovano ad affrontare una sanzione disciplinare legata a un secondo lavoro, è fondamentale comprendere a fondo i propri diritti e le procedure previste prima di subire inermi il giudizio dei dirigenti delle varie aziende sanitarie.

Uno strumento utile in tal senso è il manuale “Le procedure disciplinari delle professioni sanitarie” del professor Mauro Di Fresco, pubblicato da Maggioli Editore. Questo testo offre una guida dettagliata sulle fasi procedurali, le forme e i termini delle contestazioni disciplinari, fornendo esempi concreti di casi realmente accaduti.

È consigliato da Dimensione Infermiere ed è disponibile sia sul sito di Maggioli Editore sia su Amazon.it. Consultare questo manuale può aiutare i professionisti sanitari a orientarsi meglio nelle situazioni disciplinari e a tutelare adeguatamente i propri interessi.

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Le procedure disciplinari delle professioni sanitarie

La giurisprudenza ha voluto spiegare la relazione umana e contrattuale che lega l’operatore al paziente e viceversa, coniando un nuovo termine: contatto sociale. Le professioni sanitarie consistono in attività delicate, che purtroppo, ora più frequentemente, incidono nella sfera personale del paziente e soprattutto nei suoi interessi primari, come è appunto la salute. L’attrito che ne può derivare, al di là delle capacità di gestione del professionista, finisce spesso nel contenzioso, che dapprima viene affrontato dalla stessa Azienda sanitaria, alla quale interessa primariamente la soddisfazione dell’utente. Per questo motivo, il professionista si trova ad affrontare delle accuse di negligenza, di imperizia o di imprudenza che si sviluppano in molti modi ma che potrebbero incidere anche definitivamente sul suo futuro professionale. Lo stress, il senso di abbandono e di disarmo che investono l’operatore innocente durante le fasi disciplinari sono perlopiù prodotti dal timore di veder macchiata la propria reputazione con effetti deleteri sull’autostima e sull’eterostima. Inoltre, l’ignoranza del diritto disciplinare è un catalizzante della paura che impedisce al lavoratore di difendersi pienamente dalle accuse perché paralizza ogni possibilità di reazione. Quest’opera è stata realizzata per offrire alle professioni sanitarie un utile strumento di conoscenza e, quindi, di difesa. per comprendere pienamente le regole del sistema così da poterlo gestire in maniera produttiva e, comunque, nel senso della verità e della giustizia. La conoscenza del diritto impedirà una strumentalizzazione della procedura disciplinare affinché non diventi un momento di ritorsione e di punizione per fatti estranei alle accuse. Mauro Di Fresco Insegna Diritto Sanitario ai master infermieristici di I e II livello della Prima Facoltà di Medicina e Chirurgia di Roma. Alla Seconda Facoltà (Ospedale Sant’Andrea) insegna Diritto del Lavoro Sanitario al Corso di Laurea Magistrale in Infermieristica. È relatore di diversi corsi ECM di carattere nazionale, responsabile del link Diritto Sanitario nella rivistaLa Previdenzae scrive anche su Studio Cataldi, Diritto e Diritti, Infoius.it. È consulente legale nazionale di diversi sindacati che operano nel comparto Sanità e nella Dirigenza Medica oltre che in 52 Associazioni di pazienti.

 

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Gli infermieri possono fare collaborazioni occasionali?

Qui il discorso è intricato: la legge sembra negare ogni possibilità di svolgere tali prestazioni, ma le singole aziende sanitarie possono in alcuni casi consentirle solo se non superano i 30 giorni nell’anno solare, se inferiori ai 5.000 € annui e se per uno stesso committente.

È necessaria un’ adeguata informazione presso la Pubblica Amministrazione di riferimento prima di intraprendere questo percorso. Il dato è comunque sorprendente perché rappresenta, a mio giudizio, il notevole errore logico che sta alla base dell’attuale disciplina.

Consentire all’infermiere dipendente pubblico di superare la soglia dei 5.000€ guadagnati con attività extra professionali non equivale certamente a distoglierlo dai suoi doveri nei confronti della P.A; un infermiere qualificato e competente potrebbe benissimo, con poche prestazioni lavorative occasionali nel corso di un anno, superare la soglia predetta; inoltre il numero di 30 prestazioni non può in alcun modo essere indice di una misura universale di capacità lavorativa oltre la quale, durante il proprio orario alle dipendenze della P.A, si diventa improvvisamente non più in grado di gestire il rapporto con i pazienti e con i colleghi.

La legge consente agli infermieri di poter svolgere attività extra professionali?

Agli infermieri dipendenti di una Pubblica Amministrazione è consentito un’attività extra professionale, e quindi di poter avere un secondo lavoro, mediante comunicazione e/o autorizzazione da parte dei propri dirigenti, se si tratta di:

  • a) collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;
  • b) utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali;
  • c) partecipazione a convegni e seminari;
  • d) incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;
  • e) incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;
  • f) incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;
  • f-bis) attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica.

Alcune di queste attività possono quindi essere svolte anche sul presupposto di una semplice comunicazione resa al dirigente, è bene però fare riferimento al regolamento aziendale della singola amministrazione di appartenenza.

L’iter autorizzativo invece dovrebbe concludersi in 30 giorni dalla richiesta con un provvedimento di assenso o diniego (non vige il principio del silenzio assenso), ma spesso, nella confusione amministrativa che impera in alcune P.A, tale termine viene spesso superato.

Un infermiere part-time 50% può fare un secondo lavoro?

Chi ha un contratto part-time pari o inferiore al 50% può svolgere con maggiore facilità e senza incorrere nei divieti di legge di cui sopra un secondo lavoro,(eccetto la professione forense).

Tenendo sempre in mente che il vincolo del conflitto di interessi rimane un ostacolo insormontabile anche per il dipendente statale che abbia un part-time: la disciplina legislativa vigente prevede che per l’infermiere pubblico siano consentite attività da libero professionista.

Cosa conviene o non conviene fare per avere un secondo lavoro da infermiere?

Non paga il lavoro sommerso, non paga perché i rischi sottesi sono troppi. Spinti dalla necessità di garantire, a se stessi o ai propri cari, condizioni e possibilità di vita migliori, l’infermiere accetta il rischio di vivere il doppio lavoro nell’illegalità.

Sembra un paradosso, ma in Italia cercare di tutelare il proprio bisogno di stabilità economica è in alcuni casi ostacolato da alcune disposizioni normative che, al fine di difendere posizioni e scelte che appaiono per certi aspetti anacronistiche, spingono o alla precarietà o al non rispetto delle regole.

La soluzione è essere consapevoli e tentare ogni mezzo legale per svolgere il proprio lavoro, farlo al di fuori dei dettami normativi non è una soluzione di vantaggio, non può e non deve esserlo.

L’attesa e la speranza degli infermieri e di parte dei dipendenti della P.A è riposta in nuovi e accurati strumenti di legge che siano capaci di tutelare le differenti posizioni sociali e che si muovano in
simbiosi con l’evoluzione del mondo del lavoro. Una di queste normative è entrata in vigore grazie all’art. 13 del Decreto Legge n. 34/2023, in fase di proroga fino al 2027 con il disegno di legge Prestazioni sanitarie e attualmente all’esame del Senato. Ma tra tasse, lavoro usurante, burnout e straordinari, all’infermiere dipendente pubblico conviene aprire la partita iva per un secondo lavoro?

Abolizione del vincolo di esclusività per infermiere: conviene davvero?

L’abolizione del vincolo di esclusività per gli infermieri, e per le altre professioni sanitarie, consente di svolgere un secondo lavoro al di fuori del servizio pubblico, aumentando il loro reddito.

Tuttavia, questo impegno extra professionale può tradursi in un aumento delle ore lavorative fino a 50 ore settimanali, considerando anche straordinari, corsi di aggiornamento e turni aggiuntivi.

Un carico di lavoro così elevato comporta rischi significativi per la salute fisica e mentale degli infermieri, aumentando la probabilità di stress, affaticamento e burnout.

Piuttosto che incentivare il doppio lavoro dell’infermiere, non sarebbe più efficace migliorare le condizioni contrattuali e adeguare gli stipendi? Così da garantire un sistema sanitario più sostenibile.

Il superamento del limite delle 40 ore settimanali, conquistato con anni di battaglie sindacali, rischia di compromettere non solo il benessere dei lavoratori, ma anche la qualità dell’assistenza ai pazienti. Una soluzione più equa dovrebbe prevedere investimenti nel personale e una revisione salariale, evitando di trasformare l’infermieristica in un lavoro ancora più usurante e sottopagato.

Martino Di Caudo

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