Il medico di base rifiuta la visita domiciliare. È omissione di atti di ufficio?

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Si è rifiutato di recarsi presso un’abitazione a visitare una paziente anziana ed è stato condannato per il reato di omissione di atti d’ufficio (Cass. pen., sez. VI, dep. 25 novembre 2022, n. 45057). È stata questa la decisione dei giudici della Suprema Corte di Cassazione che hanno respinto il ricorso presentato da un medico di famiglia.

Prendendo in considerazione le condizioni generali della paziente (con frattura ossea), la sua età (avanzata) e i sintomi che la attanagliavano (tra cui difficoltà respiratorie), infatti, gli Ermellini hanno giudicato non differibile la prestazione del camice bianco.

E hanno perciò confermato la condanna già espressa nei primi due gradi di giudizio per essersi rifiutato, in qualità di medico di continuità assistenziale, di recarsi presso il domicilio della paziente di età avanzata, impossibilitata a muoversi, e di cui il figlio aveva denunciato chiamando il servizio di 118, gravi difficoltà respiratorie”.


Il medico aveva presentato ricorso in Cassazione deducendo che “in base alla normativa regolamentare e agli accordi collettivi, non sussiste un obbligo di visita domiciliare, essendo la relativa decisione rimessa alla discrezionalità del Medico, che la esercita in base alla valutazione del caso concreto”. Caso che, nell’episodio oggetto del processo, fu valutato come codice bianco sia dal 118 sia da un secondo medico giunto sul posto. E quindi con una chiara “assenza di gravi rischi per la salute della donna”.

Ma la tesi difensiva del ricorrente, secondo cui “la visita domiciliare rappresenta soltanto una delle opzioni attraverso le quali il Medico di continuità assistenziale può adempiere al suo dovere, ben potendo egli, laddove non la ritenga necessaria, limitarsi ad un consulto telefonico, non ha fatto presa sui giudici della Suprema Corte.


Gli Ermellini hanno infatti osservato che “l’accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i Medici addetti al servizio di Guardia Medica ed emergenza territoriale postula un apparente automatismo ove stabilisce che il Medico di continuità assistenziale è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che siano chiesti direttamente dal paziente entro la fine del turno”.

Altresì, altre fonti normative specificano che il Medico deve valutare, sotto la propria responsabilità, l’opportunità di fornire un consiglio telefonico, o recarsi al domicilio per una visita, o invitare l’assistito in ambulatorio”.

E di queste tre possibilità, escludendo la terza (la paziente era inferma), il medico imputato ha reputato opportuno scartare anche le altre due: non si è recato a visita (non adducendo o documentando impedimenti specifici) e, da quanto emerso, non si è prestato neppure ad un consulto telefonico, non avendo rivolto un consiglio terapeutico puntuale.


La Cassazione (VEDI Responsabilità Civile) ha perciò ribadito il principio secondo cui “la necessità e l’urgenza di effettuare una visita domiciliare è rimessa alla valutazione discrezionale del sanitario di guardia, sulla base della propria esperienza, ma tale valutazione sommaria non può prescindere dalla conoscenza del quadro clinico del paziente, acquisita attraverso la richiesta di indicazioni precise circa l’entità della patologia dichiarata”. 

L’errore principale del sanitario, quindi, è stato quello di non avere indagato a fondo sui riferiti sintomi della paziente e sulle sue reali condizioni di salute, cose che gli avrebbero permesso di prendere sì una decisione corretta sul da farsi. Questa sua grave inadempienza configura il reato di omissione di atti d’ufficio.

E il suo ricorso è stato integralmente rigettato.

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Alessio Biondino