Non è più un mistero che l’infermieristica italiana si trovi oramai di fronte a una crisi senza precedenti: da quando ci si è finalmente accorti (a causa della pandemia) che il numero di infermieri qui in Italia è ben al di sotto della soglia di sicurezza (per lavoratori e pazienti), se ne parla in tutte le salse.
Senza però che qualcuno faccia qualcosa di concreto per risolvere in fretta (per quanto possibile) il problema. E i giovani intanto non si iscrivono più al corso di laurea in Infermieristica, scappano all’estero (o comunque verso formule lavorative più allettanti) e addirittura mollano la professione in favore di qualcos’altro.
Tra Stati Generali e analisi varie di questa criticità, è finalmente uscito fuori che gli infermieri italiani guadagnano troppo poco rispetto alle loro responsabilità e hanno decisamente scarse possibilità di carriera.
C’è poi il problema dello sfruttamento, dello stress fatto di turni da incubo e di riposi saltati, del demansionamento sistematico, delle aggressioni subite di continuo e dello scarso riconoscimento sociale di una professione ancora oggi vista dai più come un umile aiuto a quella del medico e poco altro.
Le problematiche, insomma, sono tante, importanti, alcune insostenibili e non fanno che allontanare sempre di più i giovani e i professionisti stessi dall’infermieristica. Difficile dire quale sia quella più grave, anche se a tal proposito c’è chi ha ben pochi dubbi: «Noi pensavamo che i due anni di pandemia, con tutta l’informazione sugli eroi dei reparti e sugli “angeli” accanto ai malati di Covid, avrebbero fatto venir voglia a tanti giovani. Invece mi pare che molti abbiamo colte le difficoltà di questo mestiere faticoso, che non produce grandi vantaggi economici».
A dirlo (VEDI Gente Veneta) è stata la presidente Opi di Venezia, Marina Bottacin, che ha continuato: «Ma quando un giovane inizia a lavorare prende 1450 euro al mese e tali questi soldi rimangono fino alla pensione: non c’è carriera e non ci sono riconoscimenti economici per competenze particolari. E se poi si lavora nelle strutture private c’è il caso di prendere un centinaio di euro in meno al mese».
Cosa fare per invertire questa pericolosa tendenza? Di sicuro, va riformato il sistema delle retribuzioni: «Bisogna riconoscere che la professionalità è cambiata e che molti infermieri non solo si sono laureati ma hanno continuato a studiare, prendendo la laurea specialistica, facendo master… Il guaio è che, ciononostante, continuano a lavorare come prima, con gli stessi ruoli, gli stessi turni e gli stessi stipendi».