“L’infermiere di comunità è una vocazione”: riflessioni sul 12 maggio

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È il 12 maggio, festa internazionale dell’Infermiere. Ma noi infermieri italiani, purtroppo, abbiamo tutto fuorché voglia di festeggiare. Sarà che siamo usciti letteralmente a pezzi dalla pandemia (VEDI), sarà che non sopportiamo più certe condizioni lavorative, la carenza di personale, gli stipendi ridicoli, le promesse non mantenute, i contratti imbarazzanti, gli schiaffi in faccia che arrivano da ogni direzione…

Un “balzo in avanti”

Fatto sta che per molti di noi oggi sarà una giornata come un’altra. Nell’attesa, sempre meno speranzosa, che si realizzi davvero quel “balzo in avanti” di cui parla la FNOPI (VEDI), fatto di “specificità”, di “specializzazione”, di stipendi degni e del superamento di quei “numerosi ostacoli” che hanno smembrato l’attrattività della professione con modelli organizzativi inadeguati e presenza di attività improprie.

Per la presidente Mangiacavalli, infatti, bisogna uscire “dall’appiattimento legato a modelli vecchi e gerarchie obsolete, così da far finalmente emergere il “carattere di professione intellettuale” dell’infermieristica “e la sua capacità di far crescere esponenzialmente la qualità dell’assistenza”.

La vocazione

Via il vecchiume e le “attività improprie”, quindi (sperando che tutto ciò si trascini dietro anche alcuni stereotipi duri a morire e che complicano non poco il riconoscimento sociale che auspichiamo). Ed evviva il PNRR, occasione più unica che rara per poter ridisegnare in chiave moderna la figura infermieristica.

Ma intanto… Per presentare l’infermiere di famiglia, figura chiave del suddetto PNRR, la dott.ssa Annamaria Ferraresi (infermiera e direttrice del distretto sociosanitario ovest di Ferrara) ieri ha dichiarato che “L’infermiere non è solo il ‘prestatore’ di un servizio ma ha una vera vocazione di relazione”. E, ovviamente, Il Resto del Carlino ha titolato un memorabile “L’infermiere di comunità è una vocazione”.

Modernità intrise di vecchiume

Ed ecco qua che gli stereotipi che ci descrivono come dei santi, il vecchiume, i fantasmi di figure antiche e l’abisso che ci separa dall’essere visti e raccontati come dei veri professionisti, ritornano. Inevitabili. Inesorabili. Ulteriormente demoralizzanti.

Perché se anche le modernità, quelle che dovrebbero risollevare l’infermieristica e di conseguenza la sanità italiana, vengono presentate dagli addetti ai lavori per mezzo di termini e concetti (che puntualmente vengono enfatizzati o distorti dai media) lontani anni luce dalla “professione intellettuale” di cui sopra, diventa davvero complicato intravedere un qualche credibile spiraglio di luce.

O farsi venire voglia di festeggiare non si sa bene cosa.

In bocca al lupo, colleghi infermieri.

E buon lavoro.

Alessio Biondino

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