Malattia e periodo di comporto Infermieri: quanti giorni di malattia si possono fare in un anno?

Gaetano Romigi 04/03/21
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La malattia è causa di sospensione del rapporto di lavoro, sia pubblico sia privato. Il lavoratore, assente per malattia, ha sempre diritto alla conservazione del posto: pertanto, non può essere licenziato per il solo fatto di essere malato. Siccome, in quanto malato, non può svolgere la propria attività, il datore di lavoro si trova privato delle prestazioni solitamente rese da questo lavoratore.

Dovendo, quindi, contemperare il diritto del dipendente alla conservazione del posto e il diritto del datore di lavoro ad ottenere la prestazione lavorativa, l’Ordinamento prevede alcuni rimedi: tra questi ricordiamo la facoltà del datore di lavoro di verificare l’effettività di sussistenza della malattia (tramite la Sorveglianza sanitaria) e l’individuazione di un numero massimo di giorni consecutivi di malattia entro il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto e oltre il quale, invece, il datore di lavoro ha facoltà di licenziare.

Ricordiamo anche che, se la Sorveglianza sanitaria ravvisi l’intervenuta impossibilità per il lavoratore a prestare l’attività lavorativa a cui è addetto, il licenziamento può intervenire del tutto prescindendo dal superamento del numero massimo di giorni di malattia. Occorre porre estrema attenzione a non superare il numero di giorni in questione (si parla di “periodo di comporto”).

Quanti giorni consecutivi di malattia si possono fare? Quanti giorni complessivi di malattia si possono fare in un determinato arco temporale? La durata del periodo di comporto è diversa a seconda del Comparto, della qualifica o posizione rivestita; inoltre, è variabile da settore a settore.

Per conoscere qual è il numero massimo di giorni di assenza in cui si ha diritto alla conservazione del posto, occorre esaminare il CCNL di riferimento.

Periodo di comporto per l’infermiere

L’art.42 del CCNL Comparto Sanità 2016/2018 stabilisce che il dipendente non in prova, assente per malattia, ha diritto a conservare il proprio posto di lavoro per un periodo di 18 mesi.

Il periodo di comporto può essere superato sia in caso di decorrenza continuativa dell’assenza per malattia sia in caso di sommatoria dei giorni di assenza. Mentre per il primo caso, il conteggio è facile, nel caso di sommatoria è assai più delicato.

Sempre l’art. 42 del CCNL Comparto Sanità dispone che, ai fini della maturazione del periodo, devono essere sommate tutte le assenze per malattie intervenute in un arco temporale dei tre anni precedenti l’ultimo episodio in corso.

Quindi se un lavoratore cagionevole di salute vuol sincerarsi se il 10 marzo 2021 potrà restare assente per malattia mantenendo il diritto alla conservazione del posto, dovrà verificare di quanti giorni di malattia ha già goduto a partire dall’ 11 marzo 2018.

In questa somma vanno ricompresi tutti i giorni solari, anche le giornate che, anche in condizioni normali sarebbero “non lavorate”, vale a dire riposi, sabato, domenica, festività intrasettimanali ecc. come pure le assenze per visite, terapie, esami diagnostici.

 

Eccezioni

 

Il calcolo matematico dei giorni può subire eccezioni, per tutti i casi in cui il Legislatore ha inteso tutelare maggiormente il lavoratore.

Per tale ragione, ai fini di determinazione del periodo di comporto, non si conteggiano quelle assenze dovute a quelle malattie imputabili a violazioni, da parte del datore di lavoro, dell’art. 2087 codice civile: si pensi alle malattie conseguenti a nocività, tossicità o cancerogenicità dell’ambiente lavorativo.

Per i lavoratori con invalidità civile superiore al 50% non si conteggiano neppure le assenze di congedo per cure fino ad un massimo di trenta giorni. Infine, non rientrano nel periodo di comporto le assenze per patologie gravi che prevedono terapie salvavita e ricovero ospedaliero.

Situazioni particolari

In caso di infortuni sul lavoro, malattie professionali o infermità derivanti da cause di servizio accertate, ai sensi dell’art.44 del CCNL, il lavoratore conserva il posto fino a guarigione attestata dalla Sorveglianza sanitaria e, comunque, non oltre il periodo di 18 mesi prorogabili nei casi più gravi.

Tale periodo però non è cumulabile con i giorni di assenza per malattia ordinaria e al dipendente spetta anche la retribuzione secondo quanto stabilito dal comma 10 lettera a) dell’art.42.

La disciplina del dipendente part time, sia orizzontale sia verticale, è del tutto analoga, spettando al CCNL la determinazione del periodo di comporto.

Retribuzione durante il periodo di comporto

Per i primi nove mesi di assenza per malattia spetta retribuzione intera, ma con esclusione di compensi accessori e indennità specifiche. Per i successivi tre mesi la retribuzione è decurtata del 10%. Per i restanti 6 mesi, e fino al raggiungimento del periodo di comporto massimo, la retribuzione sarà pari al 50%.

Infine, nessuna retribuzione viene riconosciuta per periodi aggiuntivi concessi discrezionalmente dal datore di lavoro per situazioni gravi.

Ulteriori aspetti

Restano aperte alcune questioni, che non sono espressamente disciplinate dal CCNL ma sulle quali si è formato un orientamento della Suprema Corte.

Il datore di lavoro è tenuto ad avvisare il lavoratore quando sta per esaurire il periodo di comporto? Il dubbio sorge perché anche il datore di lavoro è soggetto ad un dovere di correttezza nei confronti del lavoratore; tuttavia, la giurisprudenza esclude che sussista l’obbligo del datore di lavoro di dare questo avviso al dipendente.

Il datore di lavoro è obbligato a concedere d’ufficio le ferie maturate e non godute, o eventualmente a convertire i giorni di assenza per malattia in ferie, per evitare il compimento del periodo di comporto e, quindi, il licenziamento? Anche in questo caso la giurisprudenza ha risposto negativamente.

Licenziamento dopo periodo di comporto

Il provvedimento di licenziamento non può intervenire prima dello scadere del periodo di comporto, tranne che si accertata la sopravvenuta impossibilità del lavoratore a fornire la sua prestazione.

In ogni caso, il licenziamento non può essere intimato in pendenza di malattia, ma soltanto al momento del rientro del dipendente sul posto di lavoro.

Ovviamente, anche prescindendo dal compimento del periodo di comporto, il datore di lavoro può licenziare quel dipendente che, al termine della malattia o allo scadere del periodo di comporto, non rientri in servizio.

Se il provvedimento di licenziamento è illegittimo, il lavoratore può impugnarlo innanzi al Tribunale Sezione Lavoro competente per territorio.

Come è noto, la normativa emergenziale ha sospeso i licenziamenti ma sono comunque ammessi quelli per superamento del periodo di comporto.

 

Autori:

  • Dott. Gaetano Romigi – docente, coordinatore e tutor universitario dell’università di Roma Tor Vergata e
  • Prof. Avv. Giovanna Marzo – Presidente di Auxilia Iuris. Docente Università degli Studi di Torino.

Riferimenti e approfondimenti:

  • Daniele Paolanti, Il Periodo di Comporto, Studio Cataldi, 12 marzo 2020 (link)
  • Maria Luisa Asta, Come si calcola il periodo di comporto, trattamento economico e licenziamento, InfermieristicaMente Nursind, 8 maggio 2019 (link)
  • Pietro Gremigni, Come funziona il periodo di comporto, Sole24Ore, 25 luglio 2018 (link)
  • CCNL Comparto Sanità 2016/2018

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