Nel dibattito su felicità e lavoro, spesso ci si concentra su stipendi, status e opportunità di carriera. Eppure, un recente sondaggio suggerisce che la vera soddisfazione professionale potrebbe nascondersi in mansioni semplici, ma emotivamente stabili.
Conviene fare il sanitario in un mondo senza più lavoro per tutti?
In Italia, e più in generale in Europa, l’avanzata dell’intelligenza artificiale non sta progressivamente sostituendo molte professioni come invece è ormai una realtà consolidata negli USA.
Soprattutto tra i cosiddetti “white collar” (con il colletto bianco della camicia), le professioni impiegatizie che richiedono competenze specialistiche, come programmatori, giornalisti e paralegali.
In un clima di crescente incertezza, le giovani generazioni iniziano a orientarsi verso settori percepiti come più sicuri, come quello del settore medico o i lavori manuali e artigianali, i cosiddetti “blue collar” (il colletto blu della tuta da lavoro), che comprendono elettricisti, idraulici, imbianchini e tecnici specializzati.
Si tratta di ambiti in cui, almeno per ora, le AI fanno ancora fatica a sostituire la componente umana. Tuttavia, anche nel Vecchio Continente vale la pena sottolineare un dato significativo: il settore medico, pur essendo richiesto, risulta tra i più infelici e stressanti.
Secondo diversi sondaggi, è tra quelli con i più alti livelli di insoddisfazione professionale, e numerose testate giornalistiche stanno lanciando appelli a riflettere bene prima di intraprendere un percorso in ambito sanitario, se non spinti da una forte motivazione personale.
Visto che sempre più sanitari invece non fanno altro che cambiare professione!
Prima di provare a cambiare lavoro, se sei stanco di lavorare in ospedale, fare i turni e saltare continuamente i riposi, dovresti valutare la possibilità di lavorare sul territorio.
La sanità è alla disperata ricerca di migliaia di Infermieri di Famiglia e di Comunità e forse varrebbe la pensa formarsi per diventarlo.
A ragione di ciò, e per approfondire il tema, consigliamo la lettura del libro “Costruire ben-essere nella comunità locale – Manuale di Infermieristica di Famiglia e di Comunità” un testo fondamentale per comprendere il potenziale e l’applicazione di questo importante e innovativo ruolo infermieristico, disponibile su MaggioliEditore.it e Amazon la lettura è consigliata a chiunque disponga di abbastanza interesse per fare la differenza sul territorio. Inizia a informarti su cosa significhi essere un infermiere di famiglia e clicca sul box qui sotto!
Manuale di Infermieristica di Famiglia e di Comunità
Costruire ben-essere nella comunità locale
Di Infermieristica di Famiglia e di Comunità si parla in Italia dai primi anni del 2000.Da allora, molto si è dibattuto intorno a questa professionalità e al suo ruolo, cercando di farne emergere le possibilità operative e l’integrazione con le altre figure e funzioni della rete formale dei servizi, fino a quando la pandemia ci ha drammaticamente mostrato tutta l’inadeguatezza della risposta sanitaria a livello territoriale.Sono stati anni bui, dai quali abbiamo imparato che la difficoltà di accedere all’ospedale, sul quale poggia tutto il sistema, crea un cortocircuito a danno degli operatori, ma soprattutto dei cittadini, portatori di bisogni sia sociali che sanitari. Tuttavia l’emergenza sanitaria ha consentito di attivare riflessioni intorno al problema delle cure primarie e della funzione di gate keeping che il territorio dovrebbe svolgere. Le recenti norme legislative di riorganizzazione del si-stema territoriale hanno per la prima volta delineato un profilo specifico per l’Infermiere di Famiglia e di Comunità.Il presente volume è il primo manuale davvero organico e completo per l’Infermiere di Famiglia e di Comunità, e sarà di certo una risorsa preziosa- per gli studenti che intraprenderanno un percorso formativo in cure territoriali e in Infermieristica di Famiglia e di Comunità- per chi partecipa a concorsi- per i professionisti, non solo infermieri, che vorranno volgere lo sguardo verso nuovi orizzonti.Guido LazzariniProfessore di Sociologia dell’Università di Torino, docente di Sociologia della salute nel Corso di Laurea in Infermieristica.Tiziana StobbioneDottore di ricerca in Sociologia, Scienze organizzative e direzionali. Bioeticista. Professore a contratto d’Infermieristica presso la Scuola di Medicina dell’Università di Torino.Franco CirioResponsabile per le professioni sanitarie della Centrale Operativa Territoriale di Governo della continuità assistenziale e dei Progetti innovativi a valenza strategica dell’ASL Città di Torino.Agnese NataleSi occupa di ricerca, formazione e operatività nell’ambito della partecipazione e dell’empowerment di gruppi e persone in condizione di svantaggio.
Guido Lazzarini, Tiziana Stobbione, Franco Cirio, Agnese Natale | Maggioli Editore 2024
34.20 €
I settori più infelici e quelli più felici
Una survey della piattaforma Deputy, ha intervistato 1,28 milioni di utenti, classificando medici, infermieri e persino altre professionalità sanitarie come i lavoratori più infelici.
“Carenza di personale, stress, turni imprevedibili e invecchiamento della popolazione sono citati come fattori chiave del calo del morale” degli operatori della salute, ha evidenziato il rapporto.
Pertanto, ai giovani che vogliono indirizzare le loro energie verso un lavoro che li renda più felici, e anche ai professionisti della salute più navigati che stanno pensando di cambiare strada, non resta che condividere la classifica dei lavori più felici secondo il sondaggio.
Chissà che non possa ispirare qualcuno verso un nuovo inizio:
- Tabacchi, sigarette elettroniche e sigarette elettroniche – 93,4%
- Ristoranti con servizio al tavolo – 89,7%
- Fast food/Ristoranti con cassiere – 82,9%
- Fioristi – 82,9%
- Ristoranti pop-up – 82,5%
- Bar/Caffetterie – 82%
- Dentisti – 81,8%
- Asili nido/Centri comunitari – 78,4%
- Catering – 75,3%
- Servizi di pulizia – 64,3%
Bene, dunque, fioristi, tabaccai, addetti alle pulizie e operatori dell’infanzia. Ma cosa rende questi lavori così appaganti?
Secondo il report, non è il salario né tantomeno il prestigio sociale a fare la differenza, quanto piuttosto l’esperienza quotidiana.
Routine definite, carichi di lavoro sostenibili, una buona dose di gioco di squadra: sono questi gli elementi che contribuiscono a creare un ambiente emotivamente stabile e, quindi, più soddisfacente. Una cultura organizzativa sana, insomma, può valere più di uno scatto di carriera.
E su questo, difficile non essere d’accordo.
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