Quella “drammatica inadeguatezza degli organici infermieristici”

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Il sindacato Nursing Up, tramite la penna del suo presidente nazionale Antonio De Palma, ha voluto commentare i dati impietosi forniti dal Rapporto Sanità CREA 2023. Lo ha fatto in una nota che riportiamo qui integralmente.


«Una drammatica inadeguatezza degli organici infermieristici, che si aggrava ogni giorno di più, tanto da delineare un gap profondo con le altre nazioni del Vecchio Continente. E come se non bastasse retribuzioni decisamente inferiori rispetto alla maggior parte degli altri colleghi europei, che non sono certo commisurate all’enorme competenza di una professione che, paradossalmente, trova sempre più collocazione in contesti sanitari di altre nazioni, dal momento che una condizione di disagio profondo sfocia in fughe legittime, verso realtà che offrono riconoscimenti economici degni di tal nome, crescita professionale, possibilità di scatti di carriera, formazione interna.


La triste realtà a cui facciamo riferimento, è quella di un sistema sanitario italiano profondamente malato, che “soffre le pene dell’inferno” anche e soprattutto perché vive una situazione di profondo disagio e di una crescita a rilento legate a un finanziamento pubblico che si ferma al 75,6% della spesa, giudicato da più parti come insufficiente e non in linea con le necessità di pazienti e operatori sanitari, e aprendo la strada a un profondo gap rispetto alla media Ue che si assesta all’82,9%.


Sono questi i contenuti a dir poco inquietanti del Rapporto Crea Sanità 2023, che in particolare, nell’evidenziare la situazione economico-contrattuale degli infermieri, quella che più ci riguarda da vicino, assume i contorni di un incubo, di un brutto sogno dal quale vorremmo svegliarci prima possibile.

Di fronte a questa desolante realtà, non possiamo nemmeno rimanere più di tanto basiti, dal momento che il lavoro come sempre egregio di questi ricercatori non fa altro che avvalorare, tristemente, i quelle denunce che da mesi il nostro sindacato porta avanti. Non ci sorprende leggere che alla sanità italiana manca all’appello un ulteriore finanziamento di 50 milioni di euro per avere un’incidenza media sul PIL analoga agli altri paesi dell’Ue.


Scavando nel profondo, andiamo a scontrarci con dati che non sono più preoccupanti e allarmanti di come lo erano già qualche anno fa, denunciati a gran voce nei nostri comunicati stampa, ma adesso sono diventati l’anticamera di quello che sembra l’orlo di un abisso. Appena qualche giorno fa, nell’evidenziare l’assurda disparità nelle retribuzioni tra i medici e le altre professioni sanitarie del comparto, sollevavamo il retorico interrogativo relativo alla mancanza di camici bianchi.


Ebbene il Rapporto Crea, sulla medesima scia dei dati Ocse, mette in luce che, in termini di numero di medici che praticano attivamente la professione, il nostro Paese, secondo anche i dati OECD, è in cima alle graduatorie europee: nel 2018 operano in Italia 4,06 medici per 1.000 abitanti contro 3,17 in Francia e i 2,84 nel Regno Unito. La Spagna ha un valore simile all’Italia (4,0), mentre in Germania si registrano 4,3 medici per 1.000 abitanti. Ben diverso il caso del personale infermieristico attivo, per il quale nel nostro Paese si registra un tasso di gran lunga inferiore alla media europea. Nel 2018 in Italia operavano 5,5 infermieri per 1.000 abitanti contro i 7,8 del Regno Unito, i 10,8 della Francia e i 13,2 della Germania. Solo la Spagna si attestava a un tasso simile al nostro, pari a 5,8 ogni 1.000 abitanti.


Nel 2022 i dati Ocse segnano un flebile passo in avanti del nostro Paese a 6,2 infermieri ogni 1.000 abitanti, ma nel frattempo anche gli altri Paesi sono cresciuti, vedi Regno Unito salito a 8.2. Rimane quindi inalterato il nostro gap di 2 punti rispetto alla media. Un gap ovviamente profondo, che finisce con l’aggravare una carenza infermieristica che va vista nella prospettiva di un indispensabile adeguamento, da mettere in atto in tempi brevi, con gli standard degli altri paesi europei.


La carenza di infermieri, in tale ottica è anche più grave rispetto ai dati delle 65-80 mila unità con cui strutturalmente parlando siamo alle prese: e non è una esagerazione affermare che supera le 250mila unità rispetto ai parametri EU e, comunque, solo per il nuovo modello disegnato dal Pnrr ne servirebbero 40-80mila in più, per coprire le esigenze legate alla indispensabile ricostruzione della sanità di prossimità, in merito alla quale, visto ‘l’andazzo’, tremiamo al solo pensiero che le ingenti risorse a disposizione possano andare in fumo e andare così sprecate.


C’è di più nel caso dell’Italia, visto che la carenza di infermieri è destinata ad allargarsi oltre il numero di 320.000, usando come riferimento la popolazione over 75, la più bisognosa di assistenza. È chiaro che in un Paese come il nostro, proiettato verso l’inesorabile invecchiamento, il fabbisogno di operatori sanitari legato alle necessità dei soggetti fragili, afflitti da tante potenziali patologie, aumenta in modo vertiginoso. E non è finita, perché se paghiamo dazio per quanto concerne la solidità economica di quello che somiglia sempre di più ad un fragilissimo castello di sabbia, siamo sempre più alle prese con una voragine di professionisti mai sanata alla radice.


Il dramma si consuma a monte, perché mancano risorse per affrontare questi problemi e che, di fatto, non vengono previste. Ed ecco che allora gli infermieri, sempre loro, sono tra i meno pagati d’Europa, il Rapporto Crea non poteva che ribadirlo. La retribuzione degli infermieri italiani assume il contorno nebuloso del 40% in meno della media di quelle dei paesi europei, nonostante l’enorme mole di lavoro a cui sono sottoposti i nostri professionisti e che con la pandemia è chiaramente sotto gli occhi di tutti; pochi posti messi a bando nelle università per la laurea in infermieristica rispetto alla quale l’Italia è nella basse posizioni nella classifica dei Paesi OCSE e uno sviluppo di carriera limitato.


Verrebbe da dire che siamo finiti nelle sabbie mobili tra carenza di infermieri, retribuzioni ai minimi storici e un sistema che si regge a malapena in piedi dal momento che mancano risorse a sufficienza. Ma piuttosto che limitarci, con rassegnazione, alla triste analisi dei fatti, non possiamo che dar enfasi al nostro malcontento. Un report di questo genere, che ci fa drizzare letteralmente i capelli, deve scuotere le coscienze di tutti, nessuno escluso.


O ci rimbocchiamo le maniche adesso, o saremo protagonisti, tutti, di uno “sprofondamento nella palude” di una sanità che di questo passo non potrà garantire ai cittadini, ai nostri figli, e in particolare ai soggetti fragili, agli anziani, ai malati cronici, quegli standard di qualità che sono indispensabili in un Paese civile, e costringendo gli operatori sanitari ad annaspare, in modo ‘donchisciottesco’, lottando contro i mulini a vento».

La valutazione del paziente con ulcere croniche

FORMATO CARTACEO

La valutazione del paziente con ulcere croniche

Quando, nelle corsie dei reparti, o dai lettini degli ambulatori, oppure durante gli eventi formativi o in occasione degli stage/ tirocini dei corsi di laurea e master universitari, si pone la fatidica domanda: “Cosa serve per ottenere la guarigione di un’ulcera cronica?”, comunemente la risposta è un lungo elenco di medicazioni, dispositivi e tecnologie tra i più disparati. Oggi più che mai è invece necessario (ri)orientare l’assistenza limitata e limitante generata da questa prospettiva che non riesce ad andare oltre al “buco che c’è nella pelle”, restituendo centralità alla persona con lesioni cutanee; occorre riaffermare che il processo di cura deve essere basato su conoscenze approfondite, svincolate da interessi commerciali, fondate su principi di appropriatezza, equità, sostenibilità e in linea con il rigore metodologico dell’Evidence Based Nursing/Medicine che fatica ad affermarsi. Questo testo, pensato e scritto da infermieri con pluriennale esperienza e una formazione specifica nel settore del wound management, propone nozioni teoriche e strumenti pratici per capire quale ulcera e in quale paziente abbiamo di fronte, e de- finire quali obiettivi e quali esiti dobbiamo valutare e devono guidare i nostri interventi. Nello specifico, la prima sezione del volume affronta alcune tematiche propedeutiche alla valutazione delle ulcere croniche, offrendo al lettore una discussione approfondita sui meccanismi della riparazione tessutale normale e quelli attraverso cui un’ulcera diventa cronica; segue una panoramica di questa tipologia di lesioni cutanee. La seconda sezione entra nel dettaglio delle varie fasi in cui si articola il percorso strutturato della valutazione con cui realizzare la raccolta di informazioni e dati sulla base dei quali formulare un giudizio clinico e guidare, in maniera consapevo- le e finalizzata, gli interventi di trattamento delle ulcere croni- che, come è richiesto ai professionisti della salute di oggi.Claudia Caula, infermiera esperta in wound care. Direzione delle Professioni Sanitarie. AUSL Modena.Alberto Apostoli, podologo; infermiere esperto in wound care; specialista in assistenza in area geriatrica; specialista in ricerca clinica in ambito sanitario. Azienda ASST Spedali Civili di Brescia.Angela Libardi, infermiera specializzata in wound care. ASST Sette Laghi – Varese.Emilia Lo Palo, infermiera specializzata in wound care. Ambulatorio Infermieristico Prevenzione e Trattamento Lesioni Cutanee; Direzione delle Professioni Sanitarie. Azienda ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Claudia Caula – Alberto Apostoli – Angela Libardi | Maggioli Editore 2018

Alessio Biondino