Rapporto FNOPI: sintomi di crisi tra gli infermieri italiani

Dario Tobruk 14/05/25

Carenza di personale, stipendi inadeguati, ostacoli alla carriera e burnout: la fotografia della professione infermieristica in Italia è impietosa. Il Rapporto FNOPI alza il velo su una crisi strutturale ignorata troppo a lungo, tra migrazioni professionali e disillusione generazionale, per richiamare la politica ai suoi doveri.

Il Rapporto Professioni Infermieristiche

Il personale scarseggia, i pazienti aumentano, così come la possibilità di commettere errori. In Italia ci sono appena 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, contro una media europea di 8,4. Un dato che, tuttavia, non considera la forza lavoro del settore privato: i numeri potrebbero quindi risultare meno gravi rispetto al resto d’Europa.

Una magra consolazione, considerando gli altri segnali di crisi della professione infermieristica, emersi nella Prima Edizione del Rapporto Professioni Infermieristiche elaborato da FNOPI in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna. ( Qui la sintesi del rapporto)

L’intento del documento è quello di portare sulle scrivanie della politica nazionale e regionale i numeri e i dati sulla situazione infermieristica, in modo da evidenziare i sintomi di una crisi non ancora pienamente riconosciuta dai decision-maker nostrani. Tra cui, diversi Ministri coinvolti nella gestione del bene pubblico.

I numeri parlano chiaro: sintomi di crisi infermieristica

I dati emersi dal Rapporto FNOPI confermano le difficoltà del personale nel garantire un’assistenza personalizzata e sicura. Questo stato di tensione spiega perché in alcuni ambiti assistenziali – come le degenze – si registrino picchi fino al 45% di infermieri intervistati che dichiarano di voler cambiare lavoro o addirittura professione. Le motivazioni sono molteplici, ma non si distribuiscono in modo omogeneo sul territorio nazionale:

  • Stipendi inadeguati (lo denunciano 3 infermieri su 4);
  • Carriere senza sbocchi e poco motivanti;
  • Carichi di lavoro ingestibili.

A questo si aggiunge un dato preoccupante in ottica futura: un terzo degli infermieri ha più di 55 anni, e non esiste ancora un piano strutturato per garantire un adeguato ricambio generazionale.

Le università, da sole, non riusciranno a colmare la carenza nel breve periodo, a meno di un deciso cambio di rotta. I motivi? I pochi giovani disponibili – in un Paese che invecchia rapidamente – scelgono sempre meno spesso la carriera infermieristica.

Stipendi bassi in professione difficile ma essenziale

Non si tratta solo di numeri. È il sintomo evidente di una svalutazione profonda della professione infermieristica in Italia.

Un lavoro che richiede una laurea, formazione continua, aggiornamento tecnico-scientifico, turni notturni e festivi, e un’esposizione costante a stress fisico ed emotivo. Il tutto retribuito, nella migliore delle ipotesi, come un impiegato di medio-basso livello.

Nondimeno, durante la pandemia, la società non ha lesinato elogi e ringraziamenti a infermieri, medici e altre professioni sanitarie. Eppure, a qualche anno dalla fine delle restrizioni, sembra che opinione pubblica e politica abbiano rimosso – o quantomeno glissato – l’esperienza di essenzialità di queste figure, sepolta nel profondo di un inconscio collettivo ancora traumatizzato.

Il Rapporto FNOPI è inequivocabile: servono decisioni coraggiose e strategiche, percorsi formativi strutturati, investimenti concreti e un riconoscimento, anche economico, che sia all’altezza della responsabilità richiesta.

Ma serve soprattutto una presa di coscienza politica, vera, non di facciata.

Il documento consegna una frase che riassume con forza il senso dell’urgenza di cui si parla da anni: “Siamo il cuore pulsante del sistema. Ma un cuore senza ossigeno, prima o poi, si ferma.”

E l’ossigeno, in questo caso, è uno stipendio dignitoso: ad oggi, quasi 7.500 euro in meno rispetto alla media OCSE. Inferiore persino a quello di un operaio specializzato. Con in più il carico di notturni, reperibilità, festivi, turni massacranti in ospedale e una costante esposizione al rischio fisico, etico e legale.

Finché paesi confinanti come Germania, Svizzera e Francia continueranno a offrire stipendi superiori ai 2.000 euro – e altri, più lontani, anche molto di più – l’Italia e gli uffici del personale delle aziende sanitarie non potranno sperare di trattenere davvero gli infermieri. I più giovani e i più coraggiosi – o forse semplicemente i più stanchi, i più delusi, i più arrabbiati – scelgono di partire.

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Sovvracarico lavorativo, stress e burnout.

Secondo i dati del Rapporto, è vero che il numero complessivo di infermieri per abitante, includendo anche quelli attivi nel settore privato, potrebbe avvicinarsi alla media OCSE. Ma se si considerano esclusivamente gli infermieri impiegati nel Servizio Sanitario Nazionale, la cifra crolla drasticamente: appena 4,79 ogni 1.000 abitanti.

Ciò comporta che un infermiere ospedaliero segue mediamente più di 8 pazienti contemporaneamente, con punte tra i 12 e persino più pazienti. La letteratura (RN4CAST) conferma da molti anni che un adeguato rapporto pazienti-infermieri dovrebbe essere contenuto ad un massimo di 6 pazienti per infermiere.

Questa sproporzione ha conseguenze dirette: meno tempo da dedicare a ciascun paziente, aumento del rischio di errore, maggiore incidenza di burnout. Lo stress percepito è una costante, e tende ad aggravarsi con l’aumentare dell’anzianità di servizio.

Il 60% degli infermieri intervistati riporta sintomi compatibili con l’esaurimento emotivo. E nei reparti di degenza, fino al 45% degli operatori afferma di valutare seriamente l’idea di cambiare lavoro o settore.

Dirigenza irraggiungibile, soprattutto per le donne

I colleghi che aspirano a fare carriera devono fare i conti con la possibilità concreta dell’esistenza di un cosiddetto soffitto di cristallo tra ambizioni e realtà. Un limite silenzioso, ma presente, che ostacola l’avanzamento verticale anche dei professionisti più competenti. Se ne parla poco, ma molti lo sperimentano sulla propria pelle.

Considerando che l’infermieristica è una professione a prevalenza femminile – tre donne ogni quattro infermieri – le posizioni apicali e le funzioni di responsabilità mostrano un paradossale ribaltamento percentuale: le poltrone, in larga parte, sono occupate da uomini.

Il Rapporto FNOPI lo afferma chiaramente: le colleghe incontrano maggiori difficoltà ad accedere ai ruoli dirigenziali, alle carriere universitarie e ai riconoscimenti formali.

Quanto al divario salariale tra generi, chiamato anche gender gap, il documento non riporta una denuncia esplicita. Questo non significa che non esista, ma potrebbe indicare due scenari: o il fenomeno è statisticamente poco rilevante, oppure – nei migliori dei casi – si presenta in forma più attenuata rispetto ad altri settori.

Una condizione che, in apparenza, potrebbe sembrare un segno positivo. Ma che in realtà evidenzia un’altra stortura: nella professione infermieristica, il privilegio non esiste per nessuno.

Indice soffitto di cristallo Fonte Rapporto Professioni Infermieristiche 2025 FNOPI 1
Indice Soffitto di cristallo – Fonte Rapporto Professioni Infermieristiche 2025, FNOPI -Sant’Anna

Scarica il Rapporto FNOPI completo

Rapporto-FNOPI-SantAnna-Professioni-Infermieristiche-2025.pdf 4 MB

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Dario Tobruk

Dario Tobruk è un infermiere Wound Care Specialist, autore e medical writer italiano. Ha inoltre conseguito una specializzazione nella divulgazione scientifica attraverso un master in Giornalismo e Comunicazione della Scienza, focalizzandosi sul campo medico-assistenziale e sull…Continua a leggere

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