“Sono arrivato in Italia col barcone e voglio fare l’infermiere”

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Si chiama Oury, ha 28 anni, è arrivato lo scorso anno dalla Guinea francese su uno dei barconi di disperati giunti a Bari, asserisce di essere un biologo e di parlare 8 lingue ed è qui in Italia perché vuole fare l’infermiere.


Ha lasciato il suo lavoro (faceva analisi di laboratorio a Conacry), i suoi cari ed fuggito a causa della situazione politica del suo paese (per i dettagli, VEDI Repubblica), ma «per fortuna ho trovato una famiglia qui a Bari – racconta –. Sono i volontari della parrocchia del Redentore, che mi fanno sentire a casa e al sicuro».


Oury, pieno di sogni e di voglia di fare, è in attesa di accettazione della richiesta di asilo e, nell’attesa dei documenti che possano in qualche modo “liberarlo”, studia da autodidatta: ha imparato l’italiano in modo fluente in soli 10 mesi e, aspettando che venga riconosciuto il suo titolo di studio, frequenta il Centro provinciale per l’istruzione degli adulti col fine di conseguire la licenza media.


Quando gli viene chiesto (VEDI Repubblica) cosa farebbe se gli venisse subito approvata la richiesta d’asilo, risponde con la luce negli occhi: «Sarebbe un sogno. La prima cosa che farei è rimettermi a studiare, rendermi utile per il Paese che mi ha aiutato e salvato. Il primo articolo della Costituzione recita che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e io voglio lavorare per integrarmi, essere in regola e pagare le tasse. 


Dopo tutto ciò che ho vissuto, vorrei diventare un infermiere, cosa che ho maturato quando sono arrivato qui. Un mestiere che rappresenta per me una forma di gratitudine per la nazione che mi ha accolto e che mi darebbe la possibilità di aiutare le persone più deboli».

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