Suicida in reparto durante TSO: assolti due infermieri

redazione 31/07/25

A sei anni dalla tragica morte per suicidio di un paziente ricoverato in Psichiatria dell’ospedale San Francesco di Nuoro, e dopo tre anni di processo, si chiude con un’assoluzione piena la vicenda giudiziaria che ha coinvolto i due infermieri imputati.

Il giudice monocratico li ha assolti con formulaperché il fatto non costituisce reato”, accogliendo le argomentazioni della difesa che ha escluso ogni loro responsabilità.

Il caso: suicidio mentre il personale era impegnato

Il caso risale all’estate del 2019, quando l’uomo, ricoverato in regime di trattamento sanitario obbligatorio (TSO), riuscì invece a togliersi la vita nel bagno del reparto in un momento in cui il poco personale previsto era impegnato in altra attività assistenziale.

Nonostante la moglie del paziente abbia denunciato l’Asl, secondo la Procura, invece, furono i due infermieri a non aver rispettato le procedure previste per la sorveglianza H24 dei pazienti a rischio suicidario, chiedendo condanne fino a 1 anno e 6 mesi, ritenendo la loro condotta negligente e accusandoli di omicidio colposo.

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Non sempre è necessario essere formalmente accusati di reati o gravi inadempienze per ritrovarsi nei guai. Sempre più spesso, gli infermieri devono difendersi non solo dal rischio di controversie legali, ma anche di entrare in conflitto con la Direzione, sempre più in difficoltà nella corretta gestione delle risorse umane, del personale infermieristico e sanitario in generale.

Pertanto, è fondamentale restare aggiornati su come tutelarsi in caso di procedure disciplinari all’interno delle aziende sanitarie e scontri con la Direzione.

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Le procedure disciplinari delle professioni sanitarie

La giurisprudenza ha voluto spiegare la relazione umana e contrattuale che lega l’operatore al paziente e viceversa, coniando un nuovo termine: contatto sociale. Le professioni sanitarie consistono in attività delicate, che purtroppo, ora più frequentemente, incidono nella sfera personale del paziente e soprattutto nei suoi interessi primari, come è appunto la salute. L’attrito che ne può derivare, al di là delle capacità di gestione del professionista, finisce spesso nel contenzioso, che dapprima viene affrontato dalla stessa Azienda sanitaria, alla quale interessa primariamente la soddisfazione dell’utente. Per questo motivo, il professionista si trova ad affrontare delle accuse di negligenza, di imperizia o di imprudenza che si sviluppano in molti modi ma che potrebbero incidere anche definitivamente sul suo futuro professionale. Lo stress, il senso di abbandono e di disarmo che investono l’operatore innocente durante le fasi disciplinari sono perlopiù prodotti dal timore di veder macchiata la propria reputazione con effetti deleteri sull’autostima e sull’eterostima. Inoltre, l’ignoranza del diritto disciplinare è un catalizzante della paura che impedisce al lavoratore di difendersi pienamente dalle accuse perché paralizza ogni possibilità di reazione. Quest’opera è stata realizzata per offrire alle professioni sanitarie un utile strumento di conoscenza e, quindi, di difesa. per comprendere pienamente le regole del sistema così da poterlo gestire in maniera produttiva e, comunque, nel senso della verità e della giustizia. La conoscenza del diritto impedirà una strumentalizzazione della procedura disciplinare affinché non diventi un momento di ritorsione e di punizione per fatti estranei alle accuse. Mauro Di Fresco Insegna Diritto Sanitario ai master infermieristici di I e II livello della Prima Facoltà di Medicina e Chirurgia di Roma. Alla Seconda Facoltà (Ospedale Sant’Andrea) insegna Diritto del Lavoro Sanitario al Corso di Laurea Magistrale in Infermieristica. È relatore di diversi corsi ECM di carattere nazionale, responsabile del link Diritto Sanitario nella rivistaLa Previdenzae scrive anche su Studio Cataldi, Diritto e Diritti, Infoius.it. È consulente legale nazionale di diversi sindacati che operano nel comparto Sanità e nella Dirigenza Medica oltre che in 52 Associazioni di pazienti.

 

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La difesa che scagiona gli infermieri dall’omicidio colposo

La difesa dei due colleghi, ha invece sostenuto invece l’impossibilità materiale di garantire una sorveglianza continua con un organico ridotto: solo due infermieri e un medico per sette pazienti ad alto carico assistenziale.

Anche l’avvocato difensore dell’Asl (chiamata in causa come responsabile civile), ha sottolineato la grave carenza strutturale del reparto. Quel giorno, ha spiegato, persino il direttore facente funzione era intervenuto per sedare il paziente prima di lasciare il reparto, ritenendo risolto il momento critico.

La parte civile, rappresentata dalla moglie del paziente e dall’avvocato, ha espresso profonda amarezza per la sentenza, annunciando ricorso in Appello. “Mio marito è morto due volte“, ha detto la moglie, denunciando una responsabilità dell’ospedale nel non aver garantito le condizioni minime di sicurezza.

Il contesto del ricovero è palese anche alla moglie che ricorda amaramente: “Gli imputati erano due infermieri ma qui la responsabilità è dell’ospedale. Non c’è personale e dovevano essere garantiti i protocolli e la sorveglianza H 24, e questo non c’è stato. Giuseppe era stato ricoverato proprio per evitare che facesse quello che poi ha fatto“.

I difensori degli imputati, di fronte alla loro assoluzione, parlano di “processo ai servi”: quando personale sanitario finisce sotto accusa in assenza di risorse adeguate.

Sempre secondo la difesa, si è trattato di un gesto estremo e imprevedibile, avvenuto in un contesto di sovraccarico e carenze organizzative, su cui, ribadiscono, infermieri e medici non avevano alcun potere.

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Redazione di Dimensione Infermiere
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