Ieri mattina, nonostante le feste, diversi operatori sanitari delle RSA e delle case di riposo piemontesi sono scesi in piazza in quel di Torino, davanti alla Regione, per protestare insieme ai propri delegati sindacali (della Cub) circa le condizioni inumane di pazienti e lavoratori nelle strutture.
A scatenare la “rivolta” sono state le recenti decisioni della giunta tra cui «offrire un mese gratis “di prova” agli anziani che accettino di andare in casa di riposo, così da spendere soldi per i contribuenti per fare pubblicità alle case di riposo di privati», come spiegato da Alessandro Zanetti del sindacato (VEDI La Repubblica).
Non proprio un’idea geniale, viste le attuali condizioni delle strutture, quasi paralizzate dalla carenza di personale e con gli operatori (infermieri e non) presenti che, quando non trovano posizioni lavorative migliori grazie a cui fuggire, vivono quotidianamente sull’orlo di una crisi di nervi.
Altra questione, quella relativa alla «idea di trasferire direttamente dal pronto soccorso alle Rsa gli anziani, senza far passare i pazienti nei reparti ospedalieri» sottolinea Zanetti, secondo cui «c’è una questione di principio, così si scarica l’emergenza sulle case di riposo per alleggerire i pronto soccorso».
E comunque, al di là delle motivazioni prettamente filosofiche, «le strutture non sono in grado di offrire assistenza sanitaria adeguata per chi esce da un pronto soccorso. Di notte c’è un infermiere anche per 180 ospiti e quasi da nessuna parte esistono i medici in struttura».
Avete capito bene: un infermiere ogni 180 pazienti… E molti professionisti sono importati dall’estero «senza preoccuparsi che conoscano la lingua e questo crea problemi di comunicazione per la collaborazione ma anche per gli ospiti» puntualizza il sindacalista.
Altresì, «facciamo anche 13 turni consecutivi, con alcuni che durano fino a 14 ore, dobbiamo fare miracoli. Il Covid doveva essere il punto di partenza ma non lo è stato» protesta Fabrizio, operatore in piazza.
Zanetti evidenzia anche come nelle strutture il rapporto sia di «un operatore ogni 10 ospiti, ma ci sono realtà in cui ce ne sono due per trenta. La legge regionale si basa su un concetto numerico di calcolo di minuti per l’assistenza per ogni ospite, come se fosse un atto meccanico prendersi cura di una persona anziana. È un concetto inumano».
E se poi durante il turno di lavoro, come denuncia una operatrice in piazza, bisogna anche fare da maggiordomo per «accompagnare i parenti dagli ospiti» ad ogni visita… Ecco che, dal centro dove dovrebbe trovarsi, il paziente si sposta sempre di più verso la periferia dell’assistenza sanitaria. In nome del risparmio, ovviamente.