Come non essere più un infermiere missionario in 4 passi

Dario Tobruk 21/07/25

È davvero paradossale come, nel nostro lavoro quotidiano di infermieri, consideriamo normali comportamenti che in altri ambiti non accetteremmo mai, in nessuna circostanza. Proprio per questo, con questo articolo vorrei proporre una riflessione sull’importanza di superare, una volta per tutte, il vecchio tabù dell’infermiere missionario o dell’angelo della corsia, sempre pronto a fare da “pungiball” emotivo per pazienti aggressivi e familiari esasperati. Alcune riflessioni su come smettere di accettare l’inaccettabile e imparare qualcosa di nuovo: un nuovo Spirito dei Tempi.

Indice

L’assurda normalità di accettare l’inaccettabile

Micro-aggressioni e piccole violenze quotidiane da parte dei familiari o degli stessi pazienti vengono vissute dagli infermieri e dagli operatori sanitari come se fossero parte integrante della routine: atteggiamenti aggressivi, richieste fuori luogo, intimidazioni, scatti di rabbia, violenze sia fisiche che verbali sono praticamente all’ordine del giorno e spesso vengono giustificate con la sofferenza che vivono i nostri assistiti.

Il continuo confronto con paura, rabbia e tutte le emozioni legate alla malattia finisce per alzare la nostra asticella, anche troppo, di elevare la soglia di ciò che siamo disposti a tollerare, fino quasi a renderci “immuni” (o almeno così ci piace pensare) a tutte le asperità che ad altri rovinerebbero la settimana, come minimo.

Per affrontare tutto questo “ci vogliono le spalle larghe”, il “pelo sullo stomaco”, espressioni che ci ripetiamo spesso tra colleghi, quasi fossero un mantra. O che peggio ripetiamo agli studenti e ai neo-laureati, che invece, essendo di una diversa generazione, non ne vogliono più sapere di condividere con noi la stessa pia illusione. E naturalmente non manca mai il classico: “Questo non è solo un lavoro, è una missione!”.

Espressione, quest’ultima dell’infermiere missionario, che ormai viene adottata e reiterata sui social più dall’utenza che dai professionisti. Come una risposta automatica a qualsiasi obiezione ad proseguire ad accettare violenza o aggressioni. Che è come dire: è normale che prendi botte, sei lì per questo.

Altri strumenti per tutelarti dalle aggressioni

Un’altra arma di cui disponiamo ogni giorno contro le aggressioni è la conoscenza: dei nostri diritti, delle modalità di tutela e delle misure di sicurezza a disposizione degli infermieri e degli altri professionisti sanitari.

Per questa ragione vi invitiamo a consultare il testo La tutela contro le aggressioni agli operatori sanitari dell’Avvocato penalista Fabio Piccioni, che ci introduce, con estrema chiarezza e competenza, nel mondo delle disposizioni normative a tutela della nostra salute e integrità, sia fisica che mentale.

Disponibile sia su MaggioliEditore.it che su Amazon.it, è uno strumento da prendere seriamente in considerazione da chi ogni giorno si scontra con il fenomeno delle aggressioni e vuole dire basta a questo continuo supplizio.

L’informazione è potere, e questo testo ne fornisce in abbondanza.

Scopri come tutelarti dalle aggressioni

FORMATO CARTACEO

La tutela contro le aggressioni agli operatori sanitari

Oggi i giornali, le tv, il web e tutti i media li chiamano “i nuovi eroi”.Eppure, da tempo è nota a livello mondiale una nuova emergenza sociale: la violenza contro di loro, la violenza nei confronti degli operatori sanitari.Ogni giorno, sono dati forniti dall’Inail, in Italia si verificano infatti ben 3 episodi di violenza contro gli operatori sanitari, comprensivi di intimidazioni e molestie.I principali fattori di rischio si rinvengono negli atteggiamenti negativi dei pazienti nei confronti degli operatori, nelle aspettative dei familiari, e nei lunghi tempi di attesa nelle zone di emergenza.Varata in piena pandemia da Covid-19, la legge 14 agosto 2020, n. 113, “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni”, tenta di rispondere all’esigenza di sicurezza avvertita dal personale medico-sanitario, e contiene varie misure sia a livello sanzionatorio sia a livello educativo e preventivo.Viene inoltre introdotta un’ipotesi speciale del delitto di lesioni personali, una nuova circostanza aggravante comune, in presenza della quale i reati di lesioni e percosse diventano procedibili d’ufficio, e una sanzione amministrativa.Per rispondere, nell’immediatezza, alle esigenze innanzitutto di praticità degli operatori, il volume presenta un primo commentario e una dettagliata e accurata analisi della legge n. 113/2020, e tenta altresì di prefigurare le ricadute derivanti dall’impatto delle nuove disposizioni nel tessuto normativo del sistema.Fabio PiccioniAvvocato del Foro di Firenze, Patrocinante in Cassazione. LLB presso University College of London, è Docente di Diritto penale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali della Facoltà di Giurisprudenza, Coordinatore e Docente di master universitari e corsi di formazione. Giornalista pubblicista, è autore di pubblicazioni e monografie in materia di Diritto penale e amministrativo sanzionatorio.

 

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E se non fosse normale?

E se invece non fosse normale? Ti sei mai chiesto che reazione ci sarebbe se qualcuno facesse una battuta a sfondo sessuale o razzista a un poliziotto, a una funzionaria dell’INPS o dell’Agenzia delle Entrate, magari solo perché donna o perché meridionale?

Uno di quei commenti che, da noi, vengono spesso spacciati per piccole “confidenze”, come fanno abitualmente certi parenti o pazienti nei confronti degli infermieri. No, in quei contesti nessuno si sognerebbe di farlo.

Eppure molti di noi, in corsia, hanno imparato a rispondere a queste freddure con sorrisi di circostanza ormai collaudati. Consideriamo normale ricevere richieste inappropriate, al limite dell’impertinenza – tipo “signorina, mi cambi canale!” – e la prendiamo con filosofia. Ma avete mai sentito qualcuno dire: “Dottore, mi cambia il canale?”.

Per qualche motivo difficile da spiegare, in sanità – e soprattutto nel lavoro infermieristico – vengono tollerati atteggiamenti che in altri contesti verrebbero giudicati decisamente offensivi.

Proviamo a fare una lista di situazioni tipiche in cui ognuno potrà riconoscersi in almeno una o più situazioni, per capire se ha davvero preso coscienza di ciò che ha vissuto nell’ultimo anno:

  1. Qualcuno si è rivolto a te usando un linguaggio volgare, irrispettoso, sarcastico o cinico.
  2. Almeno una volta ti hanno chiamato con un soprannome che pochi troverebbero davvero simpatico.
  3. Allusioni o commenti a sfondo:
    • sessuale, se sei una donna;
    • discriminatorio, se vieni dal Sud;
    • razzista, se sei straniero.
  4. Hai subito un contatto fisico inappropriato.
  5. Hai risposto con gentilezza agli scatti di rabbia di un paziente o di un parente.
  6. Ti sono stati lanciati oggetti o liquidi.
  7. Ti hanno criticato davanti ai parenti, senza motivo reale.
  8. Hai sentito commenti che mettono in dubbio la tua professionalità.
  9. Hai ricevuto minacce, anche solo velate.

Se ti riconosci in almeno uno o più di questi punti, complimenti anche tu sei un pungiball!

Come sradicare il tabù dell’infermiere missionario in 4 riflessioni

Gli stessi infermieri, spesso, finiscono per essere i primi complici di questo malcostume. Quante volte abbiamo percepito che l’atteggiamento di un utente era fuori luogo, ma abbiamo fatto un bel respiro, ci siamo dati forza e abbiamo gestito la situazione, magari anche con stoica fermezza.

Siamo abituati a pensare che questo sia l’unico modo efficace per affrontare il problema, ma il prezzo da pagare è spesso un sovraccarico emotivo che ci avvicina, senza accorgercene, a forme sottili di burnout.

1) Sradicare il “qualsiasi cosa per il bene del paziente”
Per tutti questi motivi, l’infermiere missionario finisce per considerare normale il fatto di dover accogliere e gestire le emozioni negative altrui, non solo dei pazienti, ma anche colleghi e superiori non importa.

Senza nemmeno chiedersi se ci possano essere alternative più sane e alla portata di tutti. Un’utenza abituata a mancare di rispetto ai professionisti, infatti, tenderà a ripetere questi comportamenti ogni volta che se ne presenta l’occasione.

La soluzione? Sradicare una volta per tutte il tabù del “qualsiasi cosa per il bene del paziente”. Il rispetto verso chi lavora in sanità non può più essere messo in discussione.

2) Una cosa è essere gentili, un’altra è essere dei pungiball
Ricordiamoci che gentilezza non significa essere sempre accondiscendenti, e che un’aggressione verbale resta un’aggressione e non dovrebbe mai essere tollerata. Non affrontare un paziente aggressivo — che non è la stessa cosa di un paziente oppositivo o non compliante — con una comunicazione ferma, sicura e pacata, aumenta il rischio che la situazione degeneri dalla violenza verbale a quella fisica.

La gentilezza significa essere cortesi e rispettosi, spesso mettendo le esigenze degli altri davanti alle proprie. L’assertività, invece, consiste nel saper comunicare con chiarezza e sicurezza i propri bisogni, le proprie opinioni e i propri sentimenti, rispettando quelli degli altri ma riconoscendoli come ugualmente importanti.

In sostanza, essere assertivi significa trovare il giusto equilibrio tra il prendersi cura dei pazienti e prendersi cura di sé.

Soluzione: ricordati che essere gentili senza essere anche assertivi rischia di trasformarsi in una mancanza di rispetto verso te stesso, prima ancora che verso la tua professione.

3) La cura e il prendersi cura è un contratto sociale
Il processo di cura si basa su un contratto sociale tra le parti: io mi impegno a curarti nel massimo delle mie possibilità e dei tuoi diritti, tu mi permetti di farlo nel rispetto dei miei diritti.

Segnalare ogni episodio di aggressione all’azienda deve diventare la nostra forza, la leva per cambiare. Bisogna prendere atto che subire un’aggressione, di qualunque tipo, durante il proprio lavoro non può più essere considerato “parte del mestiere”, ma va riconosciuto per ciò che è: un reato, punito dalla legge.

4) Metti in discussione lo status quo
Rivalutiamo allora tutte quelle strategie che fino a ieri consideravamo efficaci, ma che in realtà possono comportare rischi molto maggiori, o semplicemente non sono più accettabili.

Certi comportamenti non dovrebbero più far parte della quotidianità professionale e vanno lasciati, una volta per tutte, nel vecchio cassetto dell’infermiere missionario.

I giovani colleghi l’hanno capito, e per questo ho fiducia in un prossimo cambiamento. Noi che abbiamo già qualche anno di lavoro sulle spalle, dovremmo considerare di imparare qualcosa da loro, qualcosa che non portano dalle università, ma da un nuovo tempo, un nuovo Zeitgeist, un nuovo Spirito del Tempo.

Non si trova in nessun corso FAD, ma puoi impararlo da chi è arrivato dopo di noi.

Autore: Dario Tobruk  (seguimi anche su Linkedin – Facebook InstagramThreads)

Dario Tobruk

Dario Tobruk è un infermiere Wound Care Specialist, autore e medical writer italiano. Ha inoltre conseguito una specializzazione nella divulgazione scientifica attraverso un master in Giornalismo e Comunicazione della Scienza, focalizzandosi sul campo medico-assistenziale e sull…Continua a leggere

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