Attacco al potere: l’Infermiere stia al suo posto!

Dario Tobruk 28/12/16
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Un professionista con laurea triennale e un master non può dirigere una Casa della Salute“. Inizia così un articolo della dott.ssa Elisabetta Simoncini, sindacalista medico. Poi continua: “Sarebbe opportuno “sperimentare” quanti di questi professionisti che aspirano alla “direzione” sarebbero pronti ad affrontare 6 anni di laurea ad accesso programmato, 4 o 5 anni di specializzazione “ad accesso limitato” e ad assolvere analoghi obblighi formativi previsti per il medico, prima di aspirare alle medesime funzioni e responsabilità.” A quanto pare, per la sindacalista un’infermiere con master in management non può dirigere una casa della salute; mentre il medico, laureato in medicina (e ricordiamo medicina e non economia o ingegneria gestionale) ha quel know-how, quel tipico savoir-faire che gli permette, nonostante non abbia né le competenze né la formazione, di poter dirigere e gestire quello che vuole.

Come se l’infermiere non assolva agli obblighi formativi, non affronti accessi programmati e non meriti assolutamente di poter esplicare le proprie funzioni per legge al di là di quello che i medici vogliano concedere.
“Non si chieda il nostro consenso ad un sistema che rischia di creare confusione e di equiparare il medico ad altri professionisti nell’amministrazione e gestione dei servizi sanitari così come in ogni altro ambito della sanità.” Il sindacalismo medico non ha il veto, né il potere di impedire la creazione di modelli nuovi e di sperimentarne l’efficienza. Solo la politica, ispirata dalla scienza, dalla statistica e dalle evidenze, può farlo. Al contrario si parli pure di conflitto d’interesse. Il sistema va provato, per i cittadini. Solo nel caso in cui si dimostri che il modello non funziona o che funziona peggio del modello medico-centrico, allora e solo allora gli infermieri dovranno fare un passo indietro. Ricordiamo che se il sistema territoriale, gestito dai medici, fosse lo stesso modello onirico di cui parla l’autrice dell’articolo, ad oggi i pronto soccorso non sarebbero cosi affollati. Se si inizia a pensare a modelli alternativi, credo che il problema sia nei modelli attuali. “I sistemi funzionano e lo fanno bene, quando ognuno fa il proprio in maniera coordinata ed embricata.” Ed infine finalmente… questo è ciò che sotto sotto pensano i medici arroccati all’interno delle stanze dei bottoni: l’infermiere deve stare al suo posto! Limitarsi a cambiare pannoloni e padelle, servire con abnegazione il medico e porgergli la cartella quando la richiede. Ripetiamo, il sistema non funziona come dovrebbe o comunque potrebbe funzionare meglio. L’infermiere è pronto per prendersi i propri spazi, esplicare tutto il suo potenziale sanitario e rispondere ai bisogni di assistenza del paziente e del cittadino.

Gestire il territorio:

“Nessuno è contrario all’innovare, a sperimentare, ma dalla nascita del metodo scientifico, prima di modificare modelli di cui oggi conosciamo bene i risultati, dobbiamo esser certi che questi altri siano migliori dei precedenti.” Questo è quindi il buon motivo per cui si è fatta la guerra al See & threat? Modello sperimentato in gran parte del mondo anglosassone con successo. Non ne colgo la coerenza. Si applichi il modello scientifico e si proceda ad usare il meglio che l’infermiere può dare al cittadino con sistemi che funzionano e che siano dimostrati. Finiamo con le parole del post pubblicato dalla ex-Presidente IPASVI, Componente del Comitato Centrale della Federazione nazionale Collegi Ipasvi e Senatrice della Repubblica Italiana Annalisa Silvestri:

Un’altra, ineffabile posizione dell’Ordine dei medici di Bologna

Sembra impossibile ma invece é proprio così.

Uno si chiede da dove derivi tanto oscurantismo e un continuo contrasto, senza alcun aggancio giuridico, professionale ed epistemologico alla ridefinizione, da una parte, delle modalità di risposta ai bisogni sanitari e sociosanitari che emergono in modo sempre più forte ed evidente dalla collettività nazionale, dall’altra al ridisegno dei rapporti e delle relazioni tra le professioni sanitarie, portatrici ognuna di contenuti disciplinari peculiari e di approcci e metodologie diverse ma complementari per il comune e dichiarato obiettivo: riportare la persona accolta ed assistita alla migliore situazione e alla maggiore autonomia e benessere personale e sociale possibile.

Dalla fine degli anni ’90 ai primi anni di questo secolo si sono succeduti tanti accadimenti, frutto dell’impegno e della volontà di strutturare, qualificare e professionalizzare l’infermieristica, perché fosse sempre più capace di farsi carico dei bisogni espressi ed inespressi dei cittadini e delle persone assistite; perché si rendesse partner qualificato, solido e competente per valutare, capire, agire ed interagire nelle diverse situazioni ed in team orientati e impegnati a prevenire, curare, riabilitare, insegnare, educare, sostenere. Un impegno manifestato con passione, validato da evidenze, norme giuridiche e leggi approvate per ritenuta necessità o su spinta di specifiche direttive europee. Un impegno che dà riscontri importanti e risultati oggettivi riconosciuti non solo dai decisori del Sistema salute, ma anche dai cittadini e dalle loro rappresentanze associative.

Un impegno e una disponibilità anche deontologica, che ha permesso di continuare a costruire risposte, fornire prestazioni, forgiare nuove capacità e competenze nonostante le numerose difficoltà, le risorse contenute e alle volte razionate, le resistenze di alcuni e l’ignavia di molti verso la sana richiesta dell’intera categoria infermieristica di avere un riscontro economico e professionale per quanto costantemente profuso scientificamente, tecnicamente e umanamente.

Invece no! Sono interessanti a tal proposito le ultime posizioni contenute nel “piccato” parere dell’Ordine dei medici di Bologna sull’atto deliberativo della regione Emilia Romagna: “Case della salute: indicazioni per il coordinamento e lo sviluppo delle comunità dei professionisti e della medicina di iniziativa”.

Posizioni solo di alcuni medici ? Può essere ed è sperabile. Alcuni medici che però, ed è utile ricordarlo, rappresentano, in quanto inseriti nel direttivo di un Ordine, altre centinaia di medici che con il loro tacere e nel continuo e assordante silenzio di tanti altri, confermano quelle posizioni.

Alcuni passaggi: “… dentro la casa della salute viene tolta (al medico) la funzione di filtro e di orientamento che vengono di fatto affidate ad un infermiere che accoglie ed indirizza il paziente verso il SSN . Chi è il responsabile alla fine di tutto il percorso ?”. Io sinceramente non capisco quale e dove sia la questione. Il responsabile del percorso sarà l’infermiere, ovviamente !

È forse questo il problema ? “… gli infermieri hanno gli strumenti per capire la gravità della condizione clinica di un paziente nella sua totalità (grazie! e dunque, per adesso gli infermieri impegnati nel triage, fast track, see & treat ecc… sono fatti salvi …), ma per la specificità del bisogno sanitario è necessaria la valutazione medica”. La specificità del bisogno sanitario? Forse gli estensori del parere hanno mutuato il termine “bisogno” ma pare che non ne abbiano ben compreso il significato.

E ancora: “… si parla tanto di appropriatezza …. come si farà a chiedere e valutare l’appropriatezza su percorsi chiesti dall’infermiere ?”. … E qui uno trasecola. Evidentemente non si sa che ci sono oceani di riscontri documentali, sitografici e tanto altro in merito. E comunque si afferma, apoditticamente, “… la responsabilità medica è trascurata” ….. ed … essendo le Case della salute strutture sanitarie, “manca il direttore sanitario”. Che dire. A proposito di responsabilità del medico e dell’infermiere si potrebbe ragionare tanto, anche alla luce di numerose e recenti sentenze. A proposito del direttore sanitario: forse sarebbe opportuno un ripasso delle norme che riguardano ruoli e responsabilità professionali nelle organizzazioni sanitarie.

I tempi ritenuti splendidi sono, evidentemente, quelli della legge Mariotti del 1968, visto che si lamenta con sofferenza e a prescindere, che “… si affida ad un responsabile non medico la sintesi delle varie attività che vi vengono svolte” e si delinea “una subordinazione istituzionale del medico stesso al coordinatore infermieristico” . Si, perchè gli infermieri possono anche essere capaci, ma infine sono pur sempre dei “non medici” che devono, di default, essere subordinati, operare in presenza, oppure sotto indicazione e supervisione del medico. Eppure il mansionario è stato abrogato ben 17 anni fa e non si tratta di processo diagnostico e prescrizione terapeutica ma, ed è evidente, di ben altro.

E penso, con serena comprensione, a coloro che nulla dicono di tutto questo, ma si affannano ed arrabattano per sostenere che ci sono alcuni infermieri che vogliono la guerra contro i medici. Penso a coloro che continuano oniricamente a dire, contro ogni evidenza, che nulla è stato fatto, negli anni scorsi e negli anni da poco conclusi dagli infermieri per l’infermieristica. A coloro che sostengono che alcuni infermieri riscrivono il loro codice deontologico senza sapere nulla di infermieristica e di etica e deontologia ….. Perbacco, non hanno inserito nell’articolato il termine “autonomia”. A coloro che si sgolano per convincere ( chi ?) che il comma 566 è una sconfitta degli infermieri, ma contemporaneamente continuano, nell’ombra, a tentare di cancellarlo o almeno di emendarlo. A coloro che, infine, nulla dicono su chi brandisce la deontologia come un’ascia, calpestandola nei suoi profondi significati e pretendendo che le proprie norme deontologiche, tirate come elastici, misconoscano le leggi dello Stato e possano andare oltre ogni buon senso.

Sembra impossibile ma invece é proprio così; però si continua a dire che ci sono alcuni infermieri che non vogliono il dialogo ma a tutti i costi la guerra ! Il Presidente Ipasvi di Bologna a tal proposito e fra le tante altre cose, scrive: ” ….. da una parte si invita al dialogo, dall’altra veniamo definiti con una negazione. Noi non siamo ‘non medici’, noi siamo infermieri orgogliosi di esserlo. Il dialogo, ammesso che lo si voglia davvero, presuppone rispetto, e questo noi lo pretendiamo.”.

Come non essere d’accordo!”

Credit foto Wikipedia:

Dario Tobruk

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