Aumentano gli infermieri che chiedono i danni dopo le aggressioni

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Prima o poi doveva accadere, ed è accaduto: gli infermieri si sono stancati di essere presi a schiaffi nei pronto soccorso e nei reparti. Così, invece di porgere l’altra guancia e di giustificare l’ira funesta di pazienti e familiari nel nome di una sanità claudicante, hanno iniziato a chiedere i danni.

A spiegarlo è Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato Nursing Up: «Un legittimo moto di ribellione e di rivalsa è in atto negli ultimi mesi, secondo una nostra accurata indagine, da Nord a Sud, e vede coinvolti numerosi professionisti sanitari, stanchi e soprattutto umiliati per le violenze e le aggressioni subite.


Le lacune “del sistema” sono innumerevoli: si parte dal modus operandi, assai discutibile, di aziende sanitarie che dimenticano troppo in fretta di essere responsabili dell’incolumità psico-fisica dei propri dipendenti (citiamo in tal senso la sentenza della Corte di Cassazione n. 14566, anno 2017.

La sentenza in questione non fa altro che applicare quanto disposto dall’articolo 2087 del codice civile. L’imprenditore o datore di lavoro è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, i dipendenti in sostanza).


Le aziende sanitarie, soprattutto di recente, si limitano a costituirsi parte civile, ma è troppo facile cadere nel vittimismo, quando invece si avrebbe il dovere legale di tutelare i propri dipendenti con interventi mirati. 

Il caso emblematico si è verificato a Pesaro, dove, dopo una brutale aggressione, avvenuta ai tempi del Covid, un infermiere, che ancora oggi soffrirebbe dei postumi di una frattura alla spalla, ha denunciato il giovane che lo ha brutalmente picchiato (all’epoca dei fatti l’aggressore si scagliò contro un gruppo di professionisti del pronto soccorso). Ebbene il collega ha chiesto ufficialmente un risarcimento danni di 70mila euro al responsabile.


Gli infermieri e tutti gli altri professionisti che finiscono nella spirale di ingiustificate e inaudite violenze da parte di cittadini esasperati e in preda, spesso, ad una furia cieca, non si sentono assolutamente tutelati dal Governo, dalle Regioni, dalle Aziende Sanitarie e legittimamente stanno decidendo, ovunque, di difendersi da soli. Come biasimarli?

In particolare la politica a nostro avviso, “brancola da troppo tempo nel buio”. Il tanto decantato piano di ripristino dei presidi di pubblica sicurezza non si è rivelato, almeno fin ora, così efficace, dal momento che ospedali come il Cardarelli di Napoli, ad esempio, una realtà tra le più grandi del sud, gli agenti non sono mai arrivati. Si pensi che attraverso una nostra indagine, siamo riusciti ad appurare  che nella fascia oraria da mezzanotte in poi fino alle 8, gli infermieri delle Asl di Napoli (17 aggressioni solo dall’inizio dell’anno) sono letteralmente abbandonati a se stessi.


E vogliamo forse parlare delle leggi fantasma o degli Osservatori che dovevano rappresentare una svolta epocale? La legge 113/2020 sulla sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni è entrata in vigore ad agosto del 2020 e oggettivamente, a quasi quattro anni di distanza dalla sua nascita, non lascia intravedere gli effetti auspicati.

Sono un dato oggettivo i report recenti e aggiornati, sull’escalation di violenze ai danni degli operatori sanitari, e ci dicono che, per chi lavora in un pronto soccorso o opera a bordo delle ambulanze, la percentuale di rischio di subire un’aggressione arriva addirittura al 100%. Vuol dire che almeno una volta nella propria carriera, il peggio, se non è accaduto è destinato prima o poi ad accadere.

E ci chiediamo ancora perché i professionisti della salute, in questo clima di incertezza e mala cultura, abbiano deciso di intraprendere la strada delle vie legali e difendersi quindi in modo autonomo?».

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Alessio Biondino

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