Carceri, mancano infermieri? “Il Ministero schiera gli OSS”

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Che non si sappia più che pesci pigliare per mettere una toppa alla terribile carenza di infermieri che attanaglia il paese è oramai cosa nota. Ma che si faccia di tutto o quasi per sostituirli con figure diverse e soprattutto lontane anni luce dalla loro preparazione universitaria, lascia comunque sbigottiti. E fa riflettere, ancora una volta, sulla poca forza con cui l’infermieristica italiana fa rispettare il proprio nome e la propria identità professionale.


Tra infermieri generici di nuova generazione (VEDI Super OSS) pensati per creare pseudo professionisti infermieri a basso prezzo, carenze di personale infermieristico risolte con l’assunzione di operatori socio sanitari (VEDI ARTICOLO Assumere OSS per contrastare il demansionamento degli infermieri? Macché… Per sostituirli!) e strambe proposte riguardanti la creazione di ibridi tra infermieri e OSS (VEDI ARTICOLI “Bisogna creare un ibrido tra OSS e infermiere” e Gli OSS scrivono alla FNOPI: «Un nuovo “Assistente alla Salute” può risolvere la carenza di infermieri»), purtroppo il futuro dell’infermieristica italiana e la salute dei cittadini non ci appaiono propriamente in una botte di ferro.


La parola d’ordine, in sanità, è rimasta senza dubbio quella di “risparmio”. A prescindere. E anche le idee, le soluzioni e le varie “toppe” non possono non essere nemmeno pensate se non in linea con le poche risorse messe a disposizione. E poco importa se la pandemia, che oramai sembra chissà quanto lontana nel tempo, ci abbia sbattuto in faccia i tanti errori commessi nel passato e che hanno ridotto il nostro SSN a passeggiare tra i ghiacci letteralmente in mutande.


Perciò, con estrema coerenza, si continua: mancano infermieri nelle case circondariali campane? Si prova a inserire operatori socio sanitari (VEDI ARTICOLO su Il Mattino: Carceri, fuga degli infermieri: pochi e concorsi deserti, il ministero schiera gli OSS) nel tentativo di risolvere o quantomeno di contenere le dimensioni del problema. A comunicarlo è stato il report Infermieri-carceri del sindacato Nursing Up: su 6471 detenuti, «si contano 189 professionisti in Campania, corroborati negli ultimi mesi ma solo in alcune strutture dalla presenza degli OSS» ha spiegato il presidente nazionale Antonio De Palma.


La recente decisione ministeriale di riconoscere l’operatore socio sanitario come nuova figura assistenziale all’interno delle carceri, spiega il sindacalista, «potrebbe sembrare un passo in avanti ma andrebbe analizzato caso per caso e opportunamente verificato quanti OSS su 1500 inseriti in tutta Italia stanno dando il proprio supporto in Campania. E soprattutto quanti e quali di questi operatori socio sanitari possiedono percorsi di specializzazione che consentono loro di coadiuvare gli infermieri in termini di interventi delicati, come potrebbe essere la necessità di un’iniezione per una reazione allergica o shock da avvelenamento, oppure per una crisi epilettica».


Secondo noi, visto l’andazzo degli ultimi tempi (ribadiamo: tra Super OSS, ibridi vari e un’imbarazzante/perpetua confusione tra operatori e professionisti), è altresì opportuno concludere con un altro punto di domanda: con così pochi infermieri rispetto alla popolazione carceraria, siamo proprio sicuri che l’inserimento di questi OSS serva davvero a “corroborare” i professionisti infermieri e non in qualche modo a sostituirli…? Chi controlla, in un ambiente difficile e soprattutto chiuso come quello di un carcere, il rispetto dei diversi ruoli e delle diverse competenze? E soprattutto… A chi interessa farlo?


Una cosa è certa: l’operatore socio sanitario è una figura di supporto indispensabile, per l’infermiere. E se ci fossero OSS a sufficienza in ogni realtà sanitaria, l’infermiere potrebbe finalmente rispettare a pieno il proprio mandato professionale, anziché perdere tempo in attività che poco hanno a che fare col suo percorso di laurea e che percuotono quotidianamente la sua dignità e la sua crescita agli occhi di media, cittadini e altri addetti ai lavori. 

Ma quando gli infermieri mancano, l’inserimento di altre figure al grido di “meglio queste che niente” spacciato per chissà quale conquista, seguita ad apparirci quantomeno sospetto.

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La valutazione del paziente con ulcere croniche

FORMATO CARTACEO

La valutazione del paziente con ulcere croniche

Quando, nelle corsie dei reparti, o dai lettini degli ambulatori, oppure durante gli eventi formativi o in occasione degli stage/ tirocini dei corsi di laurea e master universitari, si pone la fatidica domanda: “Cosa serve per ottenere la guarigione di un’ulcera cronica?”, comunemente la risposta è un lungo elenco di medicazioni, dispositivi e tecnologie tra i più disparati. Oggi più che mai è invece necessario (ri)orientare l’assistenza limitata e limitante generata da questa prospettiva che non riesce ad andare oltre al “buco che c’è nella pelle”, restituendo centralità alla persona con lesioni cutanee; occorre riaffermare che il processo di cura deve essere basato su conoscenze approfondite, svincolate da interessi commerciali, fondate su principi di appropriatezza, equità, sostenibilità e in linea con il rigore metodologico dell’Evidence Based Nursing/Medicine che fatica ad affermarsi. Questo testo, pensato e scritto da infermieri con pluriennale esperienza e una formazione specifica nel settore del wound management, propone nozioni teoriche e strumenti pratici per capire quale ulcera e in quale paziente abbiamo di fronte, e de- finire quali obiettivi e quali esiti dobbiamo valutare e devono guidare i nostri interventi. Nello specifico, la prima sezione del volume affronta alcune tematiche propedeutiche alla valutazione delle ulcere croniche, offrendo al lettore una discussione approfondita sui meccanismi della riparazione tessutale normale e quelli attraverso cui un’ulcera diventa cronica; segue una panoramica di questa tipologia di lesioni cutanee. La seconda sezione entra nel dettaglio delle varie fasi in cui si articola il percorso strutturato della valutazione con cui realizzare la raccolta di informazioni e dati sulla base dei quali formulare un giudizio clinico e guidare, in maniera consapevo- le e finalizzata, gli interventi di trattamento delle ulcere croni- che, come è richiesto ai professionisti della salute di oggi.Claudia Caula, infermiera esperta in wound care. Direzione delle Professioni Sanitarie. AUSL Modena.Alberto Apostoli, podologo; infermiere esperto in wound care; specialista in assistenza in area geriatrica; specialista in ricerca clinica in ambito sanitario. Azienda ASST Spedali Civili di Brescia.Angela Libardi, infermiera specializzata in wound care. ASST Sette Laghi – Varese.Emilia Lo Palo, infermiera specializzata in wound care. Ambulatorio Infermieristico Prevenzione e Trattamento Lesioni Cutanee; Direzione delle Professioni Sanitarie. Azienda ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Claudia Caula – Alberto Apostoli – Angela Libardi | Maggioli Editore 2018

Alessio Biondino