“Case di comunità? Senza infermieri saranno cattedrali nel deserto”

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A livello teorico la figura dell’infermiere sta assumendo sempre più importanza nel sistema sanitario; e ciò sia nel presente che in prospettiva. Il ruolo di questo professionista è stato da sempre fondamentale nel sistema di cura e nell’interazione con i pazienti, si sa (o almeno si spera che lo si sappia). Tuttavia, le sfide imposte dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) renderanno l’infermiere (sempre teoricamente) ancora più strategico all’interno del sistema sanitario. 

Il presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche (Opi) Daniel Pedrotti, intervistato da Il Corriere del Trentino, sottolinea l’importanza cruciale degli infermieri nelle nuove strutture come le Case di comunità e le Centrali operative territoriali (Cot), che coordinano servizi domiciliari, sanitari e socio assistenziali. Tuttavia, vi è il rischio che queste strutture diventino “cattedrali nel deserto” a meno che gli organici non vengano adeguatamente potenziati. Già, perché gli infermieri non ci sono più e trovarne di disponibili è sempre più complicato.


Attualmente, la sanità trentina registra una carenza strutturale di oltre 250 infermieri, secondo le stime della Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (Fnopi). Ciò diventa ancor più critico quando si considera che il 46% dei professionisti infermieri trentini ha tra i 46 e i 60 anni, indicando che nei prossimi quindici anni saranno in pensione circa 2.000 colleghi.

Le stime indicano che saranno necessari almeno altri 200 infermieri per far fronte alle nuove esigenze create dalle Case di comunità e dalla figura dell’infermiere di famiglia, prevedendo un professionista ogni 3.000 abitanti. Tuttavia, il rapporto infermieri-abitanti in Trentino è attualmente di 7,7, superiore alla media italiana (6,6) ma inferiore a quella europea (8,6), a causa di un maggior numero di posti letto nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (Rsa) provinciali.


La difficoltà nel reperire infermieri non è legata alla mancanza di attrattività della professione stessa, ma al sistema sanitario pubblico che deve offrire condizioni organizzative e lavorative stimolanti.

Uno degli ostacoli principali è rappresentato dagli stipendi, che sono inferiori alla media europea e influiscono sulla dignità professionale. Rinnovare i modelli organizzativi è altrettanto cruciale, poiché il sistema deve anticipare le esigenze dei cittadini invece di rispondere solo a chiamate immediate. Questo richiede un maggiore focus sulle relazioni e sull’aspetto educativo, oltre a considerare le esigenze delle diverse generazioni di infermieri, tra cui la flessibilità, il riconoscimento delle competenze specializzate e l’orientamento alla digitalizzazione.

Le aree con maggiori carenze di personale infermieristico includono la geriatria, la medicina e le Rsa. È vitale potenziare gli investimenti sul territorio per far fronte all’aumento dell’età media e delle malattie croniche, garantendo risposte efficaci e percorsi di cura adeguati.

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Alessio Biondino

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