“Certo, il futuro è l’assistenza territoriale. Ma solo qui in Campania mancano 9.000 infermieri”

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Si torna a parlare di territorialità dell’assistenza e di quanto, vista la terribile carenza di infermieri che attanaglia il paese, sia complicato realizzarla. Stavolta, sul tema, è intervenuto (VEDI La Città di Salerno) Cosimo Cicia, presidente dell’Ordine degli Infermieri di Salerno e vicepresidente Fnopi.

«Il futuro dell’assistenza sanitaria è il territorio e per il suo rilancio gli infermieri sono essenziali» ricorda Cicia. Che però sottolinea come senza investimenti sul personale, tutto ciò rischia di rimanere un’utopia: «Nelle grandi città oggi le persone ricorrono all’ospedale perché accanto al proprio domicilio non sanno a chi rivolgersi.


Nei piccoli comuni – e la Campania ne ha oltre 530 considerati come zone disagiate, di cui il 46% circa nella provincia di Salerno, ma spesso il disagio c’è anche nelle grandi città – i cittadini non riescono a soddisfare i loro bisogni di salute perché è carente o manca del tutto un reale supporto sociosanitario.

Per questo nel Pnrr è previsto un forte sviluppo dell’assistenza territoriale, con lo sviluppo della domiciliarità e della prossimità. In tal senso un compito fondamentale è assegnato agli infermieri e soprattutto alla figura dell’infermiere di famiglia e comunità.


In Campania secondo gli standard ne servirebbero oltre 1.800 di cui circa 370 nella sola provincia di Salerno. Ma gli infermieri di famiglia non ci sono. Anzi, a mancare sono proprio gli infermieri in assoluto e la carenza nella nostra Regione tocca le 9mila unità di cui oltre la metà proprio per assistere sul territorio».

Come risolvere una criticità di tale portata? Per il presidente «le Case della comunità saranno il punto di aggregazione dei nuovi servizi sanitari territoriali, ma ora abbiamo davanti una grande sfida: proviamo insieme a creare un laboratorio dove tutti possiamo discutere qual è la cultura che occorre ai professionisti, che deve essere inserita nei piani formativi per entrare in questi nuovi modelli organizzativi, altrimenti saremo sempre orientati a valutarli con l’approccio tipico che abbiamo sempre avuto.


Non c’è solo bisogno di come stare dentro le Case di comunità, ma di come “stare fuori”, dove le persone vivono. Senza dialogo e multiprofessionalità la Casa della comunità rischia di diventare un “condominio” dove c’è un elenco di citofoni e secondo la necessità se ne suona uno o l’altro, ma quelli che abitano sullo stesso pianerottolo poco parlano fra di loro: i Medici di medicina generale con gli infermieri di famiglia e comunità piuttosto che lo specialista con i Mmg, o l’assistente sociale con l’infermiere di famiglia e comunità e così via».


Perciò, conclude Cicia, è necessario dire «basta» agli «ospedali ingolfati e i Pronto soccorso presi d’assalto anche per prestazioni che devono trovare soluzione sul territorio. La conseguenza sono le attese interminabili che spesso, anche per l’esasperazione dei cittadini, sfociano in episodi di violenza.

E gli infermieri sono ancora una volta la prima linea, quella che per prima ne fa le spese. La soluzione? Un’assistenza territoriale e domiciliare reale ed efficiente e, soprattutto, un numero di infermieri formati e sufficienti a garantirla. La qualità dell’assistenza deve percorrere questa strada: gli infermieri sono a disposizione per realizzarla».

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