Gestione della stipsi nei pazienti ospedalizzati

redazione 26/06/25

Sono numerose le complicanze correlate alla degenza ospedaliera; nei pazienti ospedalizzati, infatti, determinate condizioni si riscontrano con maggiore frequenza rispetto a quanto si verifica nella popolazione generale. Sono per esempio abbastanza comuni i coaguli nel sangue, le infezioni delle vie urinarie, le infezioni del sito chirurgico, le polmoniti nosocomiali e la stipsi (o stitichezza).

Riguardo a quest’ultima condizione, i dati mostrano che mentre nella popolazione generale il problema interessa circa il 20% delle persone, nel caso di pazienti ospedalizzati la percentuale sale al 50% circa.
Questo fenomeno non deve essere sottovalutato poiché, soprattutto nei soggetti anziani e molto debilitati, può dar luogo a complicanze anche severe.

Come vedremo, i rimedi possono essere diversi e vanno da accorgimenti alimentari fino all’utilizzo di molecole come il Macrogol 4000.

Stipsi nei pazienti ospedalizzati: quali sono le cause più comuni?

Nei pazienti ospedalizzati, soprattutto quelli che sono confinati a letto, la comparsa di stipsi è un’eventualità molto comune. La mancata attività fisica è infatti una delle tipiche cause della ridotta motilità intestinale.

Un’altra possibile causa è il tipo di alimentazione: non è infatti infrequente che in ospedale i pazienti assumano quantitativi di fibre alimentari insufficienti; anche l’idratazione è spesso non adeguata, soprattutto nel caso di persone anziane, che tendono di per sé a bere meno del necessario.

La stipsi nel paziente può essere legata anche ai farmaci assunti durante il ricovero che possono avere questo effetto collaterale; il problema è decisamente più comune nei pazienti oncologici sottoposti alla terapia del dolore (la stitichezza è infatti uno degli effetti collaterali più comuni degli oppiacei e di altri antidolorifici).

Come si può gestire la stipsi nel paziente ospedalizzato?

È fondamentale che il personale ospedaliero monitori la frequenza delle evacuazioni dei pazienti, alcuni dei quali non sono collaborativi; un attento monitoraggio può infatti facilitare la gestione della stitichezza. Nei limiti del possibile è importante cercare di prevenire il problema, incoraggiando i pazienti che possono muoversi a non rimanere confinati a letto.

Sono importanti anche un’idratazione adeguata, soprattutto nei pazienti non collaborativi, e un’alimentazione che apporti un sufficiente quantitativo di fibre alimentari.

Di aiuto, nei casi più difficili, sono anche alcune molecole,che agiscono aumentando la quantità di acqua nelle feci, rendendo più agevole il loro transito intestinale.

Il macrogol

Il macrogol è una miscela a base di polietilenglicole, indicato per il trattamento della stitichezza ricorrente. È ovviamente competenza medica stabilire frequenza e dosaggio delle assunzioni.

È bene ricordare che il macrogol non è esente da effetti collaterali, controindicazioni e interazioni. Per quanto riguarda gli effetti collaterali, quelli registrati più comunemente sono il dolore addominale, la diarrea, la nausea e la distensione addominale; non è comunque detto che tali problematiche si verifichino.

Per quanto riguarda le controindicazioni, questa molecola non dovrebbe essere assunta dai pazienti che soffrono di colite ulcerosa e morbo di Crohn, da coloro in cui sospettano una perforazione gastrointestinale o un’ostruzione intestinale. Prudenzialmente, è da evitare l’assunzione anche in caso di dolori addominali di cui non sia nota con precisione la causa e in ogni caso è bene chiedere consiglio al proprio medico curante.

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Redazione di Dimensione Infermiere
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