Gli infermieri dovrebbero “offrire amore, conforto e spirito cristiano”

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Possiamo capire la momentanea esplosione di umanità della popolazione conseguente alla pandemia, condita dalle canzoni sui balconi e dall’esaltazione incondizionata degli operatori sanitari ‘eroi’ durante il lockdown. Questo sì. 

‘L’amore e l’umanizzazione del corpo sanitario’

Ma leggere su un quotidiano (roma.it, VEDI) che per affrontare meglio il ‘mostro’ Coronavirus sarebbe stato meglio avere gli ospedali pieni di suore-infermiere così come 50 anni fa, per certi versi ci fa rabbrividire.

Sulla testata locale, infatti, in un pezzo firmato da Cesare Giubbi, si legge che “spesso nelle strutture ospedaliere, pur avendo personale altamente professionale ineccepibile, è totalmente assente l’aspetto fondamentale che caratterizza l’uomo: l’amore e l’umanizzazione del corpo sanitario”.

E fin qui come vaga riflessione sull’umanità delle cure può assolutamente starci, visto anche il processo di aziendalizzazione della sanità che ha portato alla perdita di certi vecchi valori e che si ritrova spesso sotto attacco.

‘Le suore infermiere e il loro spirito cristiano’

Ma è quando il pezzo entra nel dettaglio che i dubbi ci assalgono: “In Italia quando negli ospedali lavoravano con mansione infermieristiche le suore, offrivano ai pazienti amore, parole di conforto e con altrettanto spirito cristiano si prodigavano nell’alleviare la sofferenza fisica e psicologica dei pazienti.”

Quindi, per l’autore, con ogni probabilità i professionisti di oggi sono tutti cattivoni, in antitesi con la carità cristiana, totalmente avari d’amore e incapaci di alleviare qualsivoglia sofferenza. Il motivo?

Lo si capisce andando avanti con la lettura: “In Italia, sempre per fare un esempio, il paziente una volta ricoverato non ha più alcun rapporto con il mondo esterno e con la propria famiglia. La quale, non avendo alcuna informazione vive momenti particolarmente difficili e di stress psicologico”.

‘Bilancio economico? Ci vorrebbe tanto amore’

“E’ così difficile informare i parenti sull’evolozione della malattia? Quando avremo un po’ di umanità nei nostri nosocomi? Spesso gestiti dagli amici degli amici che pensano agli affari propri e a tutelare quelli dei propri sponsor. L’attività lavorativa all’interno degli ospedali e di tutto il comparto sanitario è e dovrebbe essere una missione con un comportamento di comprensione e di tanto amore cristiano. Ma da parte di tutti, anche dei dirigenti dell’azienda, che appunto rispondono quasi sempre ad altri criteri: il bilancio economico.”

Non ci è ben chiaro cosa c’entrino le infermiere suore e questa sorta di un attacco gratuito ai professionisti di oggi. In era Covid, cosa avrebbero fatto di tanto diverso le rimpiante religiose?  Avrebbero fatto la spola tra i reparti pieni di infetti e i loro parenti appostati fuori?

Avrebbero passato ore al telefono per aggiornare i parenti circa le condizioni cliniche dei propri cari e per tranquillizzarli invece di assistere i malati, nonostante la terribile carenza di personale dei nostri ospedali?

Si sarebbero tolte la tuta protettiva per accarezzare mani, elargire sorrisi, dare amore e trasmettere vagonate di spirito cristiano anziché proteggersi, proteggere i propri affetti e gli altri pazienti?

‘Concorsi in sanità? Serve un esame aggiuntivo’

La conclusione dello scritto, corroborata da una specie di proposta/provocazione, fa crescere dentro di noi il sospetto che lo scrivente conosca ben poco gli argomenti su cui ha voluto per forza esprimere il suo parere: Non è sufficiente vincere un concorso per entrare a far parte del comparto sanitario ma i candidati dovrebbero essere sottoposti ad un esame più importante.

Quello di generare amore e offrire se stessi verso un prossimo bisognoso di affetto e di tanto spirito cristiano. Coloro che non hanno questi requisiti, pur capaci, non possono essere assunti e occuparsi delle persone che soffrono.”

Rassegnatevi: l’infermiere oggi è un professionista

Cari nostalgici, rassegnatevi: i tempi lontani delle suore infermiere non torneranno mai. Perché la sanità è cambiata, sta ancora mutando e dovrà farlo senza sosta per poter essere al passo con i tempi e per poter offrire alla popolazione ciò di cui ha davvero bisogno. Sono l’età media, l’evoluzione tecnologica e la scienza a dirlo.

Tutto ciò, inevitabilmente, ha portato (e sta portando) alla drastica trasformazione di alcune figure, una su tutte: da ancella ausiliaria del medico, l’infermiere si è infatti trasformato in un professionista laureato, autonomo, iscritto ad un Ordine, con competenze e responsabilità inimmaginabili fino a qualche decennio fa (ai tempi delle suore). E l’assistenza ai pazienti ne è uscita drasticamente migliorata.

Pensare che ci sia chi cancellerebbe tutto questo per mettere di nuovo la vita dei cittadini in mano ad operatrici dalla preparazione non confrontabile con quella degli infermieri odierni, lascia perplessi. Per ottenere in cambio cosa, poi? “Amore, parole di conforto e spirito cristiano”?!

Certo, chi sceglie di aiutare e di studiare per poterlo fare al meglio forse dovrebbe già possedere un bagaglio di umanità, di pazienza e di empatia verso il prossimo tali da facilitargli il compito e anche la scelta del percorso da intraprendere, ma… Di sicuro queste sono cose che non si possono insegnare. Che non si possono apprendere. Figuriamoci se si possono valutare tramite un ‘esame’!

Autore: Alessio Biondino

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