“Padelle e pappagalli, gli strumenti di lavoro dell’infermiere”

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Sì, ormai lo sappiamo tutti: Giacomo Poretti, il simpaticissimo ‘Giacomino’ del trio Aldo, Giovanni e Giacomo è stato un infermiere e ha lavorato dal 1974 al 1985 all’ospedale di Legnano.

Cavalcando il tempo degli ‘eroi’

In questo periodo, per promuovere i suoi nuovi spettacoli e il suo libro, basati su questa parentesi vissuta nel mondo sanitario di allora e cavalcando il periodo degli ‘eroi’ della pandemia, ha avuto diverse parole di elogio per i suoi ex colleghi.

‘Un lavoro bellissimo’

Ha iniziato lo scorso 12 maggio, in onore della festa internazionale dell’infermiere: “E’ un lavoro bellissimo e straordinario. Lo dico ai ragazzi che magari sono indecisi sul proprio futuro: fare l’infermiere è una scelta importante ma super gratificante, che ti mette in contatto con il senso della vita” dichiarò (VEDI).

‘In guardiola a chiacchierare’

Poi, però, seguitando con questa su campagna di promozione ed eviscerando i ricordi di quello che un tempo era un mestiere ausiliario lontano anni luce dalle università, l’attore ha iniziato ad avere uscite che al giorno d’oggi oseremmo definire un po’ goffe e che, forse, ancora una volta, non fanno molta chiarezza sulla figura infermieristica.

“All’epoca c’era poco personale, le suore lavoravano tantissimo, non stavano in guardiola a chiacchierare, gli infermieri avevano un carico di lavoro enorme, il doppio di quello che c’è adesso” dichiarò lo scorso luglio, facendo capire chiaramente che non mette piede all’interno di un nosocomio da un bel po’.

Fatica e vocazione

Ma al di là di altre discutibili descrizioni degli infermieri, visti da Giacomino come uomini e donne di fatica con la “vocazione” (termine odiato dagli infermieri professionisti di oggi), addestrati dalle suore e “in bilico tra il cinismo e la tendenza ad affezionarsi troppo ai malati” (VEDI), forse stavolta ha un po’ esagerato. O, probabilmente, ha esagerato chi ha riportato le sue parole.

Un mestiere frustrante

Già, perché su Il Foglio (VEDI) è apparso un articolo dal titolo a dir poco raccapricciante: “Padelle e pappagalli, gli strumenti di lavoro dell’infermiere”. E il sottotitolo non è da meno, visto che inizia con un’altra coltellata: “I ricordi di un mestiere frustrante”.

L’inizio del pezzo (per leggerlo tutto bisogna essere abbonati) non fa affatto chiarezza su cosa voglia dire di preciso il comico sulla questione padelle e pappagalli: Chissà perché ho fatto questo lavoro qua, l’infermiere? Con tutti i bei mestieri che ci sono in giro oggi: il rapper, il tatuatore, lo stilista, l’influencer, il virologo.

Da piccolo mi affascinavano l’avvocato, il calciatore, l’astronauta, poi alle medie avrei voluto diventare filosofo, medico, professore di Latino, anche fare il falegname non mi dispiaceva. Certo i piani di studi sarebbero stati completamente diversi, nell’incertezza ho deciso di andare direttamente in fabbrica.

Non era meglio un titolo diverso?

Di certo, la frittata disinformante è servita: era davvero necessario un titolo del genere? Visto ciò che racconta Giacomino, relativo ad anni in cui quelli descritti nel titolo erano davvero tra gli ‘strumenti del mestiere’, non sarebbe stato meglio far capire che ci si riferiva ad un remoto passato?

Ad esempio un “Giacomo Poretti: ‘Padelle e pappagalli erano gli strumenti di lavoro dell’infermiere’” (con tanto di virgolette!) non poteva andar bene?

Poi non ci lamentiamo se i giovani non sono attratti da una professione non riconosciuta, raccontata decisamente male e ancora in attesa di sacrosanti adeguamenti economico-contrattuali

Autore: Alessio Biondino

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Alessio Biondino

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