Lo ha dichiarato alla festa del libro ‘Pordenonelegge’, Giacomo Poretti, il baffuto membro del trio Aldo, Giovanni e Giacomo: “Se la situazione fosse precipitata a tal punto da renderlo necessario, sarei tornato in corsia. Chi ha fatto l’infermiere, anche se non lo è più, non scappa”.
‘Un lavoro bellissimo’
Già, perché non tutti sanno che il divertente comico, prima di fare l’attore, era un infermiere in servizio presso l’ospedale di Legnano. “Un lavoro bellissimo e straordinario” lo ha definito non molto tempo fa (VEDI); “Una scelta importante ma super gratificante, che ti mette in contatto con il senso della vita”.
Stavolta, presentando il suo libro ‘Turno di notte’ (Ed. Mondadori), dichiaratamente ispirato al suo trascorso in corsia, Giacomo si è così espresso sulla pandemia da Coronavirus e sul suo latente ‘istinto infermieristico’: “L’istinto di aiutare le persone resta, non ci si può sottrarre alla vocazione di assistere chi sta male”.
‘Ho avuto anche io il Covid’
E ancora: “Quando per la strada mi capita di vedere un incidente, mi fermo e chiedo se posso fare qualcosa. Non nascondo che a volte mi sento rispondere: ma che vuoi?
Mi sono ammalato anch’io di Covid sono stato contagiato insieme a mia moglie l’8 marzo 2020 ed entrambi abbiamo vissuto il momento con grande paura e preoccupazione, soprattutto per le sorti di nostro figlio quattordicenne. Per fortuna non c’è stata compromissione polmonare e ne siamo usciti, ma siamo stati molto male.”
‘I miei anni in corsia? Straordinari’
Giacomino sottolinea spesso di quanto fosse pesante, a quai tempi, essere infermiere: “Gli anni passati in ospedale come infermiere sono stati molto pesanti, anche se straordinari, quindi so bene la fatica che il personale si deve sobbarcare in questi casi. A maggior ragione durante un’emergenza che nessuno si aspettava e di fronte a una malattia per la quale non c’è ancora una cura specifica”.
‘L’ospedale non è un posto per pappemolli’
Le parole del comico, riportate dal Corriere del Veneto, ci danno la sua visione su quello che ai suoi tempi era un mestiere da apprendere sul campo e tramite una ‘scuola’, ma che oggi è una professione in crescita e che sta cambiando: “Più della fatica immensa, legata alla carenza cronica di infermieri, l’effetto collaterale di una professione che comunque ti resta dentro è la capacità di stare in bilico tra il cinismo e la tendenza ad affezionarti troppo ai malati.
Nel primo caso cerchi di essere distaccato per non soffrire troppo, ma allora non sei empatico. Se però ti attacchi al paziente rischi di veder morire un amico due o tre volte alla settimana, ed è insopportabile. L’ospedale non è un posto per pappemolli”.
Autore: Alessio Biondino
Giacomino: “Ai miei tempi gli infermieri lavoravano il doppio”
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