Un’Infermiera: “Sacrificherai parti di te stesso per proteggere dei perfetti sconosciuti…”

Dario Tobruk 31/10/16
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A noi della redazione piace misurare il polso di internet (siamo infermieri dopotutto!). Sulla rete, milioni di colleghi tutti i giorni parlano del proprio lavoro e delle proprie difficoltà. Proprio qualche settimana prima, avevamo ospitato la lettera disperata di una collega infermiera irlandese e ancora prima quella di un medico italiano sulle condizioni della sanità oggi. Ma un moto d’orgoglio, quando si rasenta e si gratta il fondo, prima o poi viene sempre a galla.

Oggi abbiamo il piacere di ospitare un’altra lettera, di tutt’altro umore. Apparsa per la prima volta su The Huffington Post US  è stata poi tradotta dall’inglese da Milena Sanfilippo.


 

Lettera commovente di una collega infermiera del New Jersey: Sonja Schwartzbach (laureata anche in letteratura). Spiegare agli altri il nostro lavoro è difficile, spesso è più difficile farlo con noi stessi. La lettera:

Non sono un angelo.
Sono seduta qui e fisso lo schermo del computer, con un po’ di preoccupazione. Il fatto è che ho davvero tantissime cose da dire sui diciannove milioni e più di infermieri in giro per il mondo e sembra sempre che il tempo non mi basti mai. Sono il mio team, la mia squadra. Sono la mia famiglia. Totalmente disfunzionale, ma pur sempre una famiglia. Credo che ci siano poche professioni dove i colleghi riescono ad irritarsi a vicenda il momento prima e a ridere e scherzare il minuto dopo. È già stato detto che quello che facciamo ogni giorno ci rende un po’ “la marina militare” delle professioni mediche. Quest’affermazione dà l’idea di quanto sia stressante l’ambiente lavorativo di un infermiere, che si ritrova quotidianamente, di fronte alle circostanze più difficili. Quello che compiamo, ogni giorno, è uno sforzo d’ amore. Ma tutti noi sappiamo la verità: gli infermieri non sono angeli scesi sulla terra. Non siamo anime gentili e remissive che baciano la bua ai bambini. Non abbiamo l’immagine tanto cara ai libri di storia, che ci vorrebbero sempre con i berretti bianchi inamidati e le scarpe lustrate. Non siamo neanche quelli che, durante la notte, si danno oscuri appuntamenti nei luoghi più bui dell’ospedale. La nostra professione è stata resa “glamour” oppure è passata ad essere una sorta di feticcio, messa su un piedistallo come poche altre. Eppure, la definizione di ciò che siamo può competere solo con l’elenco di ciò che non siamo.

Il nostro piccolo segreto.
Molti non capiranno mai davvero l’entità di quello che facciamo, ad ogni singolo turno. Possono solo immaginare che si tratti di un lavoro difficile (anche se non sentiranno mai il dolore che abbiamo ai piedi, alla schiena… e al cuore, alla fine del turno). Alcuni diranno “Volevo essere un infermiere, ma forse non avrei mai potuto farlo”. Ci limitiamo a sorridere, ad abbozzare una risposta del tipo “Beh, è un lavoro duro, ma molto bello”, senza pensarci due volte, comprendiamo che la maggior parte delle persone non potrebbe mai davvero sopportare quello che noi affrontiamo ogni giorno. Altri potrebbero ricordarci quanto siamo intelligenti o cercare di convincerci a frequentare Medicina, per diventare dottori. Rispettiamo i medici, ma molti di noi non vogliono intraprendere quella carriera. Le connessioni che stabiliamo e i cambiamenti che stimoliamo nella vita dei nostri pazienti valgono gli innumerevoli passi falsi e i sacrifici che facciamo.Nessuno di loro sa del nostro segreto. I pazienti, le famiglie. I mariti e le mogli. I genitori, i figli, gli amici. Anche se ci provano, non potranno mai capire la profondità e lo spessore, spirituale e fisico, che sono richiesti ad un infermiere. Alcuni potrebbero domandarsi. Quanto può essere dura davvero? Non sono solo tre turni a settimana? Non vi garantiscono gli straordinari e i bonus ogni anno? È più dura di quanto possano immaginare. È molto più crudo e reale di quello che pensano. Ma, quando accade qualcosa di straordinario e noi vi prendiamo parte, essere un infermiere diventa una vera e propria “droga”.

È un miracolo! Urlano i familiari.
È il duro lavoro della medicina moderna! Dichiarano i medici.

Ma chi conosce il segreto, o almeno ne percepisce la presenza, può comprendere che non è stato un miracolo a salvare i vostri cari. Piuttosto, sono state le attenzioni costanti di un’infermiera assennata, intuitiva e fortemente devota alla sua missione. Il nostro segreto è questo: salviamo più vite di quante vogliamo ammettere. Facciamo più errori di quanti speriamo di condividere. E riusciamo a cogliere quelle sottigliezze che impediscono il peggio. Il lavoro dell’infermiere è spesso tacciato di essere un lavoro modesto, umile. Una vita passata a servire gli altri, con altruistica compassione. Ma eccoci qui, questo è il nostro segreto: possiamo dire cattiverie, adottiamo spesso un senso dell’umorismo macabro e ci affidiamo al sarcasmo. Irriverenti, sfacciati e acuti, riuscite a capirlo? No, non siamo tutte delle suore vestite da infermiere. Possiamo essere crudeli, meschini. Possiamo distruggere una matricola e la nostra reputazione. Non rispondiamo sempre alla perfetta immagine che vi siete creati, neanche lontanamente.

Siamo esseri umani.
Siamo esseri umani. Facciamo degli errori. Diventiamo troppo emotivi. E così deve essere. Perché ogni giorno facciamo i conti con la nostra identità, non solo in quanto uomini e donne, ma in quanto infermieri. Siamo definiti da un ruolo che portiamo su di noi come una medaglia al valore. Ma che potrebbe anche diventare una lettera scarlatta. Siamo sempre in “lotta”: con i piani alti, con la malattia, con questioni di vita o di morte. Con i colleghi, le famiglie, con noi stessi. Quello che facciamo quando attacchiamo il turno ogni mattina, o sera, è molto più di un lavoro. È una sfida a dare il 99% di noi stessi agli altri senza lasciar andare mai del tutto quell’1% che ci resta per noi stessi. Siamo esseri umani. Non siamo infallibili. Beviamo troppo. Fumiamo troppo. Mangiamo barrette di cioccolato per cena. Spesso ce la prendiamo con voi perché non c’è nessun altro su cui “scaricare” il nostro peso. Siamo in uno dei pochi settori dove un’emergenza è davvero, autenticamente, un’emergenza… tutto il resto sono solo dettagli. Così, mentre chiediamo scusa per le nostre mancanze e per i nostri atteggiamenti, mentre speriamo, ogni giorno, di diventare persone più comprensive e pazienti…Non possiamo scusarci di essere infermieri. Prendeteci per ciò che siamo, prendete il pacchetto completo, ogni pezzetto, perché non abbiamo scelto di essere così. In qualche modo, anche se ti opponi, questo lavoro ti viene a cercare, se è destino. Filtra dentro di te, fino al midollo. Si insinua nella tua anima. Sacrificherai parti di te stesso per proteggere dei perfetti sconosciuti e ti sembrerà la cosa più logica e sensata da fare.

Non è sensata. È quasi follia. Tutti noi siamo un po’ troppo nevrotici. Abbiamo tutti una personalità di tipo A. Siamo troppo premurosi e investiamo moltissimo su noi stessi. Sono scappata da un lavoro che mi voleva in ufficio dalle nove alle cinque, per seguire una vocazione. L’ho ignorata, combattuta, ma l’infermiera che c’era in me è venuta fuori e mi ha completamente posseduta. E adesso? Non sarò più la stessa. Anche io sono sull’orlo della pazzia. Sono leggermente irrazionale. Totalmente nevrotica. Completamente devota. Sono una donna, una moglie, una figlia. Sono un’amica. Ma in tutto questo sono, senza alcuna scusa, un’infermiera. (Grassetto della redazione)

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Dario Tobruk

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