L’Infermiere e la documentazione clinica: una foresta impervia.

Redazione 24/06/19
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L’Infermiere e la documentazione clinica: una foresta impervia, con molteplici percorsi della responsabilità professionale

Di  Giovanni Trianni – Infermiere Legale Forense 


La documentazione clinica garanzia e protezione

Dal momento che un’ottica sovrastante di responsabilità ci vorrebbe maggiormente edotti, un richiamo essenziale è d’obbligo e senza indugi ci spinge a mettere in luce e focalizzare l’attenzione su strumenti di lavoro essenziali e distintivi del quotidiano essere; strumenti dichiaranti la nostra individualità (il chi siamo), cosa facciamo e perché, dove, come e quando.

Un timbro tracciante l’azione particolareggiata non solo per merito del singolo atto compiuto personalmente, ma anche per un continuo fluire della volontà della pubblica amministrazione che rappresentiamo, messa in opera da tutti i nostri agiti ogni qualvolta timbriamo il badge (cfr. nozione di Pubblico Ufficiale ed Incaricato di Pubblico Servizio).

La documentazione clinica è elemento predominante e fondante della caratteristica volitiva della cura all’interno della struttura sanitaria; dal ricovero alla dimissione essa esprime ed imprime attraverso la manifestazione dei suoi autori (tutta l’equipe multi professionale) una mappa indicante gli itinerari seguiti, le soste, le ripartenze, gli ostacoli.

Non a caso la Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire più volte che omissioni, carenze o lacune riferite alle cartelle cliniche (di riflesso vale in termini legali su tutta la documentazione clinica prodotta e riguardante l’equipe), non possono far altro che gravare negativamente sulla condotta del professionista sanitario (cfr. Cassazione civile, sez. III, ordinanza 23/03/2018 n° 7250).

Gli interrogativi per l’infermiere: scrivere o non scrivere?

Diversi dubbi si profilano subdoli all’orizzonte. Gli occhi di molti sono su di noi, indaganti su ciò che scriviamo, innescando equivoci che minano la giusta integrazione dei saperi.

Le domande emergono chiare già da tempo, se cioè una “guerra delle penne” possa in qualche modo danneggiare, e chi. Se documentiamo di più e meglio: ”Lui scrive meglio di me” (1), “Ciò che scrive mi può danneggiare” (2) in un vortice di competitività e sospettosità da parte della figura medica.

Perché abbiamo paura di quei righi bianchi, che sembrano fagocitarci? Temiamo cioè di confrontarci con quello che siamo e facciamo? Allora perché lo abbiamo fatto? Quindi, dovremmo cambiare lavoro? Quale la soluzione?

In effetti la paura è sempre presente, la teniamo in un taschino della divisa.

Forse capire meglio di cosa parliamo aiuterebbe a stemperare l’arcano, per chi crede, vagando nel terrore, che sia materia attaccabile da chi, “costretto” a giudicare, tira le somme all’improvviso, di punto in bianco, allo scopo di capire come avvenne l’architettura del progetto documentale (analisi dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato).

E come detto per estrema paura, forse a volte pensa di non dover scrivere, di scrivere poco, di scrivere con trascuratezza e di scrivere per proprio tornaconto.

Quindi come definire e contestualizzare al meglio un oggetto, indispensabile in ambito sanitario, che da accorati pensieri e letteratura, è sentito come ostile e pericoloso?

Semplicemente come una foresta, apparentemente senza via d’uscita che velocemente ci potrebbe far perdere l’orientamento, e stravolgere le nostre carriere, salvando, annientando e comunque sconvolgendo la vita del paziente, turbando un “habitat” professionale (a nostro parere) integerrimo fino a quel punto, mettendo sotto i riflettori giudiziari personali certezze.

Tale rappresentazione della documentazione clinica può costringerci con un sentimento ostile, a relegarla in un angolo buio della mente, permettendole di interloquire con la condotta tenuta solo di tanto in tanto, con le dovute cautele: quando non siamo stanchi, quando il burn-out non ci avvolge, quando le condizioni di un evento andato a buon fine, sottolinea una personale corretta decisione diagnostica od intervento (fin quando va bene).

Purtroppo le imperfezioni, le irregolarità le debolezze della forma e della sostanza, finiscono presto e subito sotto la lente dei periti e dei consulenti, tutti impegnati di buon grado ad evidenziarle ex post (dopo il fatto), per far sì che venga compresa da chi giudica, la linea di condotta sia nell’azione che nell’omissione, a stabilire nessi causali e concause, a evidenziare i classici interrogativi predominanti: chi a fatto cosa (od omesso), perché, come, quando, dove ed io aggiungere il tassello del “per quanto tempo”. Ma chi si preoccupa dell’ ex ante (prima dell’accaduto, con scopo preventivo)? Nessuno!

Pertanto, la selva impervia della documentazione sanitaria è disseminata di tali interrogativi che per alcuni sono ancora un mistero, chi rimanendo legato a pratiche obsolete, chi pensando che ci sia solo un modo di fare le cose (purtroppo optando quasi sempre per quello sbagliato), in quanto il proprio orizzonte culturale è fermo, rinnegando una giusta condotta di sapere e conoscenza continua del ruolo che assume.

Uno scambio “organico”

In un contesto di tale importanza, può essere utile puntualizzare un concetto caratteristico, che a mio parere aiuterebbe a capirne la singolarità: la documentazione clinica è fattore sostanziale rappresentante un’organicità univoca e di scambio con la struttura organica del paziente, essa si deve riflettere fisiologicamente e sempre su tutto l’impianto dell’accadimento reale.

Specularmente, il riflesso dello stato di salute non deve essere oscurato o deviato da ostacoli interposti.

Da un punto di vista più materiale si afferma altresì, che qualsiasi cosa si faccia al paziente debba essere trasferito in forma scritta su tutti i documenti inerenti: dalla cartella clinica a quella infermieristica, dal foglio di terapia ad un puntuale quaderno delle consegne (3), alla check-list operatoria(4) e tutti gli altri documenti specifici esistenti nell’Unità Operativa o Servizio, e riferiti a clinica, diagnosi, assistenza, ecc..

All’occorrenza, aprendo una parentesi interessante e stimolante sotto l’aspetto consulenziale, a mio parere anche la tanto ricercata (spero in epoca assai lontana) “cartuccella”, ora sostituita con ammirazione da moduli appositamente preimpostati e schemi, su cui prendere appunti circa le consegne, può dar credito alla prova (probatorio) del progresso o regresso dello stato di salute, in quanto contribuisce a storicizzare l’evolvere dell’assistenza e dell’obiettività della presa in carico durante il turno e stabilire l’eventuale condotta colposa anche e specificatamente dall’applicabilità di protocolli che sensibilizzino il discernimento della continuità di cura.

Il concetto moderno

Grazie al moderno concetto di multiprofessionalità, di sicurezza delle cure e di risposte sempre più mirate ai bisogni del paziente, oggi non è più corretto affermare che documentazione clinica sia esclusivamente sinonimo di documentazione medica, visto che l’universo pulsante intorno all’utente è un’entità molteplice che lascia un segno indelebile sul suo percorso di salute.

Nella documentazione sanitaria viene riportata una verità incontrovertibile, confutabile solo a querela di falso (materiale o ideologico), in quanto rappresenta prova dell’azione diretta od indiretta e della “non-azione” (omissione), degli operatori sanitari verso la cura e l’assistenza; ne definisce e mette in luce un percorso fattuale di ognuno, trascinandosi dietro delle remore e difetti, la cui traccia è molto spesso celata dalla voluminosità del contesto, nascosta ad occhi profani, ma a volte fiorente che “sgomita” per primeggiare, alla stregua di azione positiva per il protagonista, ma che si dimostrerà poi deleteria nella disamina del danno.

Per entrare in una siffata rappresentazione di foresta vi può essere una predisposizione modulabile. Vi entriamo infatti, con diverse percezioni: quella di sentimento autonomo e responsabile, e quella esprimente coercizione data una pressante necessità cioè quella di scrivere dettata da norme imprescindibili.

Ciò nonostante uscirne facilmente senza timore si può, ma andando avanti, senza girovagare, senza correre, seguendo le indicazioni dei cartelli a lettere cubitali: VERIDICITA’, TEMPESTIVITA’, COMPLETEZZA. PRECISIONE, CHIAREZZA.

E dal buio della foresta un varco luminoso si aprirà. Tanto nell’immediatezza della specificità professionale saremo costretti a rientrarci ogni volta.

 

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